The Loudest Voice: la recensione
La fondazione di Fox News come meccanismo comunicativo e persuasivo, nella miniserie The Loudest Voice di Showtime con Russell Crowe
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Il giornalismo raccontato da The Loudest Voice è l'antitesi di quello di The Newsroom. I protagonisti della serie di Aaron Sorkin, per quanto antipatici e saccenti, interpretavano il ruolo come una missione morale, e fondavano il loro lavoro su un'etica stringente, fino a raggiungere quasi punte di ingenuità. La serie di Showtime, invece, più che essere la biografia dell'amministratore delegato di Fox News Roger Ailes, è il quadro impietoso di un intero meccanismo comunicativo, manipolatore e frastornante. La miniserie funziona grazie a una scrittura sopra le righe, che non chiede grande elaborazione allo spettatore, probabilmente non così incisiva come vorrebbe essere.
Se Fox News, anche oggi nel dibattito politico, è un marchio, un tipo di linguaggio, un certo modo di porsi rispetto agli argomenti, Roger Ailes è la personificazione di quel linguaggio. L'umanizzazione, se c'è, passa attraverso il suo continuo riaffermare le proprie convinzioni, sia in generale sia per dettare le linee guida del network. Ci sono molte scene madri che tendono a sottolineare la sua diversità rispetto a tutti gli altri, e che giocano con la semplicità con cui banali regole di buon senso o etica giornalistica sono aggirate o ignorate. Il secondo episodio della miniserie è interamente incentrato sulla narrazione contingente, e poi parallela, al disastro delle Torri Gemelle. E sarebbe semplice rilevare l'intreccio tra giornalismo e politica, che trovano un punto di incontro nei concetti di slogan e manipolazione, raccontato di recente in Vice – L'uomo nell'ombra (Dick Cheney appare anche nella puntata).
Nonostante le ottime interpretazioni di Russell Crowe – qui in uno dei ruoli più impegnativi della sua carriera – e di Naomi Watts, The Loudest Voice non è così incisivo o rivelatore come vorrebbe essere. Forse troppo limitato da una serie di ruoli prestabiliti e raramente approfonditi, in una scrittura che dopo due episodi ha ben spiegato tutto ciò che vuole essere, in una lettura senza dubbio impietosa, ma forse non così stimolante.