The Lost King, la recensione

Il team dietro Philomena si riunisce per raccontare ancora una volta la storia di una donna semplice in lotta contro le istituzioni. Meno graffiante del precedente, ma comunque sempre piacevole e toccante,

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La nostra recensione di The Lost King, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022

Personalità fuori dagli schemi, solitaria ma mai doma, la Sally Hawkins di The Lost King può benissimo essere considerata una versione più giovane di tanti personaggi a cui il cinema di Stephen Frears ci ha ormai abituato, soprattutto nell'ultima fase della sua carriera. C'è un "sistema", delle istituzione consolidate ma intrinsecamente malsane da combattere con le armi della bontà e della buona fede, anche se tutti dicono ti remano contro e non accettano la tua posizione, anche se, come in questo caso, finisci per parlare con i fantasmi di persone morte e (forse) sepolte.

Nuovamente a partire da una storia vera, The Lost King racconta le avventure di Philippa Langley (Hawkins), impiegata nel settore vendita che si sente mal sfruttata e poco considerata. Assistendo ad uno spettacolo teatrale si appassiona della figura di Riccardo III, sovrano vissuto nel '500 reso celebre dall'opera di William Shakespeare. Comincia studiarne la figura accorgendosi di come il carattere passato allo Storia, ovvero di un meschino usurpatore, sia tutta opera della famiglia Tudor. Decide così di dedicarsi completamente a ritrovare i suoi resti, perduti da mezzo secolo, e riabilitarlo pubblicamente. Semplice appassionata che si rivela più intelligente degli esperti studiosi, non cede di fronte alle porte sbattute in faccia, non si dà per vinta di fronte a chi non le crede, come gli archeologi dell'Università di Leicester. Nel frattempo, comincia a vedere e a parlare con il fantasma di Riccardo (Harry Lloyd) trovando conforto alla sua solitudine.

The Lost King è soprattutto l'occasione per riunire il team dietro Philomena: Frears in cabina di regia ritrova gli sceneggiatori Jeff Pope e Steve Coogan (anche interprete del marito della protagonista) e l'abilità di raccontare una storia semplice con grande maestria. Ma se nel primo l'obiettivo era far accettare al pubblico la storia e la sua protagonista così sfacciatamente melodrammatica, facendo leva sul modo in cui tutte le sue idee, a prima vista banali, potessero avere una loro dignità, in questo film questo aspetto viene meno. Condivide i tratti evidenziati prima con i personaggi di Judi Dench nelle sue collaborazioni col regista (oltre a Philomena, anche Lady Henderson presenta e Vittoria e Abdul), ma per il resto Philippa è più una classica donna simpatica e adorabile nella sua eccentrità, verso cui è facile e immediato assumere la prospettiva. Capiamo fin da subito che le sue convinzioni sono giuste, la guardiamo sempre con un sorriso che toglie qualsiasi problematicità.

L'umorismo delle situazioni e della protagonista è qui quello più tipico british, inserito in uno svolgimento da leggera detective story (la ricerca dei resti di Riccardo III), senza nessun ragionamento metatastuale sul genere. L'intreccio esplicita un forte legame tra ieri e oggi nella tendenza a imporre la propria versione della Storia attraverso la falsificazione (le immagini del sovrano ritoccate per farlo apparire più brutto), nel parallelo destino della protagonista e del sovrano dimenticato, in una celebrazione del non accontentarsi e del non mollare. Ma Frears e i suoi sceneggiatori sembrano qui meno arrabbiati, meno graffianti del solito, come dimostra un pre-finale amaro seguito poi da una conclusione più rasserenata (e rasserenante) che lo stempera quasi del tutto.

A rendere allo stesso modo il film godibile e scorrevole sono comunque due elementi fondamentali. Il primo è la colonna sonora di Alexandre Desplat che, senza essere mai invadente o abusata, è capace di mantenere sempre alto il ritmo del racconto e di stabilire sempre l'atmosfera giusta: quella gialla, quella onirica e infine anche quella più melodrammatica. E poi, ancora una volta, la regia di Frears, una "mano invisibile" capace però di scelte azzeccate: senza vezzi o bisogno di esplicitarsi, trova sempre l'inquadratura e lo stacco giusto, con impercettibili ma fondamentali accorgimenti. Così, basta un lieve zoom per arrivare ad un espressivo primo piano, basta un cambio di angolazione per mostrare un cambio di prospettiva. Basta un piccolo dettaglio in un apparente semplice campo-controcampo tra la protagonista e i direttori dell'Università di Leicester, non convinti inizialmente di disporre fondi per la ricerca, per farci capire la diversa moralità e caratura dei personaggi.

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