The Lost King, la recensione

Dentro a The Lost King, proprio dove pensiamo di trovare una storia da detective, ce n'è una di sensazioni senza che questo stoni

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di The Lost King, il film di Stephen Frears disponibile su Sky dal 6 dicembre

La detection è tutta ribaltata in The Lost King. È la storia (vera) di una donna, un’appassionata di storia e di Riccardo III, che a partire dal 2012 ha indagato, lottato e infine scoperto i resti di re Riccardo III, finendo per dimostrare che molto di quello che si è sempre pensato su di lui  (anche per via degli scritti di Shakespeare) non era vero ma propaganda. La protagonista deve scoprire molte cose, dove è sepolto Riccardo III in primis ma anche con chi parlare e chi abbia fatto cosa, tuttavia invece che procedere di indizio in indizio, nel più classico dei processi di deduzione all’inglese, procede per sensazioni. Ha la sensazione che Riccardo III non sia quello che si dice, ha la sensazione che sia possibile trovarlo e anche la sensazione che si trovi sotto un parcheggio. Viene molto presa in giro per questo, da tutti, ma non dal film. E l’impresa vera è convincere anche noi che esista qualcosa di diverso dalla deduzione, che passa per altri canali, e che non è meno affidabile.

È un errore infatti pensare che The Lost King racconti di una scoperta storica, in realtà racconta di come una donna abbia trovato un senso in una vita lavorativa grigia e priva di soddisfazioni, come attraverso la tenacia e la lotta con un mondo che non la considerava, abbia trovato anche una maniera per entrare in contatto più emotivo con il resto della sua famiglia. Stephen Frears e Steve Coogan ci mettono un gran mestiere, perché solo così si possono realizzare dei personaggi come i due archeologi, impossibili da posizionare sullo spettro che va dai buoni ai cattivi, aiutanti ma anche egoisti, onesti ma anche ambigui. Coogan in particolare scrive una sceneggiatura che benché non abbia la perfezione di Philomena, si muove nella zona del thriller psicologico all’inizio e solo poi su quella dello scontro con le istituzioni. Sempre con una piccola linea costante di commedia.

Lo stesso questo è un film che in 9 casi su 10 viene male, viene noioso, viene ripetitivo e per niente interessante e nel quale invece Frears, con la sua abilità a montare le scene, i dialoghi e a soppesare pesi e tempi di ogni scena, riesce a far emergere una punta di indignazione per le istituzioni e di amore per i ranghi più bassi dell’indagine storica, che è contagiosa e gioca molto bene con la dimessa piccineria che Sally Hawkins dà al personaggio. È ovviamente anche una storia di forza femminile, quel tipo di tenacia sensibile e impossibile da abbattere che non nasce dalla rabbia o da un’esibizione di forza, ma anzi da una inarrestabile quiete. Il fatto che The Lost King non voglia fare femminismo, cioè non sia attivo nel ribaltare i pregiudizi sui sessi, lo rende solo più potente.

C’è poi nel film tutta una parte di visioni e miraggi di cui la protagonista è preda, ovviamente a tema Riccardo III, che non fanno che allontanare la storia falsa dalla storia vera, che mettono l’accento sulle sensazioni, sulle premonizioni e un modo di ragionare poco convenzionale non solo per le indagini ma anche per il metodo storico. È la parte peggiore, quella che rema contro l’interesse e che costantemente va svicolata, marginalizzata e minimizzata per evitare che la storia di un’indagine dietro la quale c’è lo sforzo di migliorare se stessi non diventi il delirio di una pazza con cui non vogliamo immedesimarci.

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