The Legend of Zelda: Skyward Sword, la recensione
E un gioco ben più che ottimo, a cui tuttavia manca il cuore delle avventure migliori..
The Legend Of Zelda: Skyward Sword è un gioco ben più che ottimo, a cui tuttavia manca il cuore delle avventure migliori..
La cosa più incredibile in un gioco così elaborato, lungo, stratificato ed eterogeneo al suo interno come The Legend of Zelda: Skyward Sword è che alla fine non abbia un villain all’altezza, uno in grado di dare vita ad una drammaturgia coinvolgente.
Da Ocarina of Time in poi giochi come Wind Waker, Twilight Princess e, in parte, Majora's Mask possono essere considerati delle variazioni, talvolta anche drastiche, di quella medesima idea di mondo e gameplay, e così è anche per Skyward Sword. Un third person che fonda enigmi e azione, che include un array di armi più o meno simili (con ogni gioco a portare delle novità) e una terra divisa in mondi diversi da esplorare con i templi come livelli/dungeon, sempre ottemperando alla divisione in elementi naturali (acqua, terra, fuoco e aria), una costante dell’universo Miyamoto che si trova anche in tutti i giochi di Super Mario. Il tutto condito da un’idea di romanzo di formazione dell’eroe.
A differenza di tanti altri giochi di avventura i vari Zelda raccontano sempre la storia della nascita di un eroe da zero. In particolare questo gioco si inserisce all’inizio della timeline, prima di ogni altra avventura, quando la terra di Hyrule non esisteva e gli esseri umani vivevano sulle nuvole, non a caso le parti in ballo sono “divine”. Dei mille mondi, le mille ambientazioni, i tanti boss di fine livello e i molti colpi di scena però non c’è n’è uno che valga la pena di essere ricordato per i prossimi anni. Questo videogame fantastico, capace di essere ancora vario e diverso dopo 30 ore di gioco, incredibilmente manca di drammaturgia. Non che non ci provi, ma in nessun momento trova quel diapason perfetto tra immagini su schermo, costruzione della storia e contributo del giocatore tramite le sue decisioni.
Chi ha già giocato ai giochi principali della saga ritroverà alcune idee vincenti come le location avvistate da lontano ma raggiunte solo dopo molte altre conquiste e ore di gioco, le terre che si espandono al procedere della conquista di oggetti in grado di portare l’eroe lì e le figure di supporto (qui niente cavallo ma un uccello).
Al contrario, quello che non troveranno, come già detto, è qualcosa che valga la pena combattere. Intendiamoci, tutti giochiamo per giocare, perchè il gesto e la risoluzione di problemi o la sconfitta di nemici è l’esperienza in sè, ma un contesto d’azione affascinante e coinvolgente dovrebbe essere il valore aggiunto di quello che chiamiamo “capolavoro”.
In questo caso il nemico principale non lo si vede fino alla vera vera fine (che, va detto, si svolge nell’unica ambientazione memorabile e davvero suggestiva) e quello che ci è dato seguire nel corso dell’avventura è un lacchè senza senso e senza fascino, che non incute nè timore nè stima. Anche l’idea che regge la parte iniziale del gioco (di tempio in tempio Link segue le tracce di Zelda, che scappa in quelle zone poco prima di lui, e facendolo ricostruisce ciò che le deve essere successo ma che non viene mai mostrato) poteva essere una di quelle trovate da sfruttare a fondo ma sembra lasciata al solo spunto.
Così alla fine, fatte le missioni parallele (come sempre bellissime, c’è anche un imprevedibile momento shōjo manga), sconfitti tutti i mostri, conquistati tutti gli obiettivi e chiusa la trama con gli ultimi due combattimenti (all’altezza delle aspettative per difficoltà d’esecuzione e di strategia) rimane la convinzione che The Legend Of Zelda: Skyward Sword sia un gioco ben più che ottimo a cui manca il cuore delle avventure migliori, quelle in cui il protagonista è seguito nel suo evolversi tanto quanto la sua nemesi e nelle quali sia ha la sensazione di essere parte di qualcosa che è difficile tanto per il giocatore quanto per i personaggi che agisce.