The Leftovers 2x07 "A Most Powerful Adversary": la recensione

Finale sconvolgente ed ennesimo episodio perfetto per The Leftovers, che sta costruendo una stagione indimenticabile

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Spoiler Alert
Da un lato potrei scrivere che tra qualche anno The Leftovers diventerà la serie del passato da recuperare assolutamente, quella passata sotto banco, vista da pochissimi spettatori e liquidata da tutti gli altri come l'ennesima promessa a vuoto di Damon Lindelof. In realtà sappiamo bene che le cose non vanno così, che alcune perle rimangono per pochi e che una serie di questo tipo non diventerà mai un prodotto per tanti e diffuso. Rimane il fatto che, ancora una volta, qui ci troviamo di fronte a momenti di altissima televisione, a frangenti di scrittura e interpretazione che raggiungono la perfezione. Settimo episodio della seconda stagione, e gli aggettivi per la serie HBO iniziano a scarseggiare.

Protagonista dell'episodio, il più corale finora e quello che tira in scena più protagonisti, è Kevin. A Most Powerful Adversary lo segue esattamente da dove lo avevamo lasciato la settimana scorsa, dalla sofferta confessione a Nora della sua condizione psichica. La donna prende il bambino e lo lascia ammanettato a letto in un ultimo slancio di protezione nei suoi confronti. Per tutta la puntata Kevin non riuscirà a togliersi quel cerchio di metallo dal polso, ma lo porterà con sé, da un luogo all'altro, come testimonianza concreta del suo disagio mentale. Nel suo vagare incontra la figlia Jill e l'ex moglie Laurie, vive attimi di tensione con John Murphy e infine giunge alla roulotte del padre di John, Virgil, che gli pone una drastica soluzione per il suo problema.

L'atto di fede intorno al quale ruota tutto l'episodio e che culmina in un'incredibile sequenza finale si potrebbe tranquillamente accostare a quella fiducia che The Leftovers settimana dopo settimana chiede ai suoi spettatori. Ma forse non sarebbe del tutto giusto. La fede implica un sacrificio temporaneo in nome di un bene futuro, mentre la serie di Damon Lindelof vive tremendamente il momento nel quale si compie la sua storia. È tutto qui, probabilmente non ci sarà altro e, la serie lo ha ribadito in tutti i modi possibili e immaginabili, le risposte non sono importanti, non sono il centro, non sono necessarie. Parliamo delle grandi risposte, mentre quelle più piccole (ormai quasi tutti gli avvenimenti incomprensibili del primo episodio sono stati spiegati) arriveranno, ad esempio questa settimana con la ricostruzione del tentativo di suicidio di Kevin, e ora sappiamo anche chi John cercò di uccidere.

E d'altra parte la ricompensa della serie è sotto gli occhi di tutti. C'è la solita capacità nel gestire la gravità delle situazioni e di lavorare solo su quella, senza intrecci, solo lasciando affiorare in superficie il necessario e al momento giusto, come la scoperta della scomparsa di Tommy sulla quale ancora non sappiamo niente, o la strana relazione tra Jill e Michael. E ovviamente le suggestioni, le nostre e quelle che la serie crea. Cos'è Patti? In realtà, proprio per il fatto di essere così sfacciate in una serie così sottile, le apparizioni di Patti sono state l'unico punto non convincente della seconda stagione, ma visto che ci siamo parliamone. Almeno in due occasioni in questa puntata Patti ha delle percezioni che Kevin in teoria non potrebbe avere, e mai come stavolta dimostra un'identità propria che le altre volte non aveva.

Tra schizofrenia e visioni sovrannaturali quindi. Per noi è difficile decifrare il tutto, ma sembra ovvio che il nome scelto per la "guida" Virgil, che praticamente incarna la figura – al limite del razzismo come sottolinea la stessa Patti – del "magical negro", non è casuale. Forti poi gli echi da Lost - serie citata spesso a sproposito nel confronto con The Leftovers, dato che i misteri qui hanno tutt'altra forma - con Kevin che ha qualcosa di Locke.

Torna Where is My Mind, stavolta sia in versione originale che nella cover al piano che avevamo ascoltato in Off Ramp. Arriviamo ad un finale teso, grandioso, sorprendente eppure così naturale nella sua evoluzione. Lo è talmente che la decisione di Kevin di uccidersi appare logica anche a noi. Cliffhanger enorme a parte, la vita di un personaggio che rimane nel limbo, se The Leftovers ha scelto questa strada non lo ha fatto per allinearsi a un canone comune, quello seguito ad esempio recentemente da Game of Thrones o The Walking Dead. Lo ha fatto perché serve alla storia e perché vuole trarne qualcosa di importante. E questo sì che è un atto di fede.

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