The Leftovers 2x05 "No Room at the Inn": la recensione

Ennesimo, perfetto episodio di The Leftovers, stavolta dedicato a Matt Jamison

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Spoiler Alert
God has made my heart faint,
the Almighty has terrified me.
Yet I am not silenced by the darkness,
by the thick darkness that covers my face.

Questa citazione, tratta dal libro di Giobbe, veniva utilizzata da Kevin su indicazione di Matt dopo che i due avevano seppellito Patti nel bosco. Quel libro, il preferito del pastore, torna ancora in No Room at the Inn, ultimo straordinario episodio di The Leftovers, a ricoprire come un velo tutti gli accadimenti incredibili, forse casuali, forse no, che riguardano l'uomo e sua moglie. Chiuso il tempo delle domande e delle risposte, rimane quello della fede, delle sottili possibilità che la speranza offre, e non è tanto il desiderio di normalità quanto il conforto nel caos ormai accettato quello che si va cercando, se non per noi stessi, almeno per le persone che amiamo. Solo tematiche, solo astrazioni, un intreccio sospeso nell'aria che si attarda ad aspettare i suoi protagonisti, perché sa che la loro straordinaria vita e le loro passioni sono più importanti di quello che va raccontato.

La puntata, ancora una volta focalizzata su pochissimi personaggi, esclude tutte le storyline viste finora e si concentra su Matt Jamison e sua moglie. I due sono giunti a Miracle e, come sappiamo solo per bocca del pastore e mai per nostra testimonianza diretta, il loro arrivo è stato accompagnato dal primo sussulto della moglie Mary, in stato vegetativo dal giorno della scomparsa. I due hanno parlato, si sono ritrovati, hanno fatto l'amore. Tutto poi è tornato alla routine esasperante che vediamo raccontata nella cold open dell'episodio: stesse musiche, stesso cibo, stesso itinerario. Come Nora, Matt cerca di esorcizzare la paura dell'ignoto ripetendo come un mantra schemi che possono portare un briciolo di normalità nella sua vita, nella speranza che la moglie reagisca ancora.

Nessuno capisce nulla, tutti si adeguano alla ripetitività, a quei miseri appigli offerti dal caso, nella speranza che questi bastino. Una visita fuori città, nella quale si scopre che la donna è incredibilmente rimasta incinta, è l'inizio di un'odissea per l'uomo che non riuscirà più a tornare indietro e farà di tutto per riportare la moglie, in una condizione ancora più vulnerabile, a casa. Non c'è colpa nei suoi gesti, solo altruismo, bontà e voglia di spendersi per il prossimo. Perché viene punito allora? E perché proprio dopo una notizia così straordinaria? The Leftovers settimana dopo settimana frena un intreccio che fondamentalmente è un semplice sostegno per le tematiche, ricorrenti e ormai familiari, ripetute ancora e ancora.

Risposte non ce ne sono, ma il punto è proprio nel chiedersi se esistano delle domande a cui rispondere. Tutto può voler dire tutto in quest'ora così tesa, coinvolgente, interpretata splendidamente, che in fondo racconta molto senza dire nulla. Ad ogni svolta ci sono lampi d'incredulità per ciò che succede, sul perché succede e sul perché succede proprio al nostro protagonista. Che soffre, incassa, reagisce e perde, perde ancora, perde sempre. Ci sono ovvi parallelismi biblici, c'è un senso di colpa mai completamente spiegato, c'è l'idea costante che tutto il risveglio di Mary sia solo un'allucinazione – difficile pensare a una bugia – di Matt. C'è la bolgia caotica di mercanti di fronte al tempio della salvezza in cui il protagonista cerca rifugio e speranza, e c'è un momento raccontato in un modo semplicemente straordinario (la paura, l'orrore, noi che percepiamo la reazione prima di capirne il motivo) in cui in fondo ad una galleria l'uomo rischia di perdersi del tutto.

Tutto questo è meraviglioso. Chiede tanto, tantissimo allo spettatore, ma pochissime serie sono oggi in grado di prendersi una responsabilità così grande e di arrivare quasi sempre vicine a ripagarla del tutto.

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