The Leftovers 2x03 "Off Ramp": la recensione

Il terzo episodio di The Leftovers cambia ancora una volta il punto di vista, ma il risultato continua ad essere ottimo

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Per la seconda volta in poche settimane un episodio di una serie tv decide di utilizzare Where is My Mind nella cover di Maxence Cyrin. L'ultima volta era accaduto con Mr. Robot nell'eccezionale Mirroring e, anche se in quel caso l'utilizzo di questa musica aveva un particolare significato, l'idea che la lega all'ultimo episodio di The Leftovers è la stessa. C'è il pensiero costante di essere sradicati dalle proprie certezze, la necessità di trovare schemi, abitudini, piccole sicurezze e monotonie quotidiane che ci tengano in vita. La serie curata da Damon Lindelof declina di settimana in settimana questo pensiero, ora attraverso un blocco di personaggi, ora attraverso un altro. Questa settimana la coscienza che ci accompagna è quella di Laurie Garvey.

L'episodio ruota intorno al tentativo della donna di riprendere in mano la propria vita dopo l'abbandono dei Guilty Remnant. Insieme al figlio Tom, anch'egli profondamente deluso dall'evoluzione degli eventi e ancora legato alla figura del Santo Wayne, guida un gruppo d'ascolto e recupero per tutte quelle persone che sono uscite dalla comunità e che cercano di purificare il proprio senso di colpa in altro modo. Si procede quindi tramite la parola invece che con il silenzio, ma tutto questo potrebbe non bastare. I due "salvatori" sono chiamati a salvare in primis loro stessi, fanno i conti con la loro grave situazione economica, negano il loro passato nella speranza di costruirsi un futuro.

Come per contrastare l'asprezza del "silenzio bianco" al quale si era costretta per tutta la prima stagione, la parabola umana di Laurie (eccezionale Amy Brenneman) viene scandita da una progressione furibonda di parole, incidenti, aggressioni, una martellante batteria che picchia dall'inizio alla fine e nei momenti più decisivi. Finisce il tempo del silenzio, inizia il tempo delle parole. Ma, come detto, queste potrebbero non bastare. Laurie con il suo progetto umanitario sposta l'attenzione del problema, non lo affronta direttamente, ma lo fa attraverso il trauma altrui, sperando che questa terapia guarisca anche il suo. Naturalmente così non è, non può esserlo perché la psicoterapeuta che è in lei condivide pienamente – anche peggio – le difficoltà dei suoi pazienti. Non può essere una guida, ma solo una compagna di viaggio.

Stesso dicasi per Tom, che infine viene preso con la forza dai Guilty Remnant. Qui rivediamo Meg, e in un contesto che non può non lasciare spiazzati. Alla fine, raggiunto il punto di non ritorno, l'illuminazione che riprende precisamente il tema di queste tre puntate: la necessità di sentirsi al sicuro, la capacità di accettare che esistono forze e eventi al di là della nostra comprensione, ma che possiamo fare qualcosa per controllarle, o almeno per convincerci che è così. Wayne forse era un ciarlatano, forse no, forse c'è una spiegazione divina, fose no. E così anche per Tom. Ma tutto questo, per l'ennesima volta, non è importante. L'importante è credere che sia così e trovare un po' di ristoro, "prendersi un po' in giro", illudersi che un senso ci sia per non sprofondare nel baratro.

Off Ramp eccede spesso, come tutta la serie, in serietà e pretese. Costruisce il suo percorso su una narrazione senza narrazione, rigida, pronta a cadere. Ci sono due-tre momenti spiazzanti in questo episodio, e ognuno di essi coincide con un'esplosione di violenza improvvisa, che non vorremmo vedere perché siamo abituati a considerare questo show come qualcosa di impalpabile e di astratto. Al tempo stesso però tutto è così diverso e affascinante che non potrà fare a meno di dividere il pubblico, ma sicuramente non lascerà indifferenti.

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