The Leftovers 1x01 "Pilot": la recensione
Un concept ottimo si accompagna ad un'esecuzione inadeguata: questo è The Leftovers, la nuova serie di Damon Lindelof per la HBO
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Tratto dal romanzo omonimo di Tom Perrotta, The Leftovers pone fin dal titolo l'accento sulla dimensione emotiva di coloro che sono stati lasciati indietro. Da chi? Da amici, parenti, semplici conoscenti: il 2% della popolazione mondiale che, in maniera randomica, improvvisa, sconvolgente, sono scomparsi nel nulla senza lasciare nessun segno e nessun indizio su ciò che potrebbe essere accaduto. Tre anni dopo l'elaborazione dell'avvenimento è tutt'altro che superata. Nell'impossibilità di comprendere, di andare avanti, la popolazione mondiale ha reagito nelle forme più diverse. La serie fissa lo sguardo su una piccola, emblematica cittadina chiamata Mapleton e sulle conseguenze più immediate, e più nascoste, che l'evento ha avuto sui suoi abitanti.
Il desiderio di puntare sulle reazioni collettive piuttosto che su ciò che le ha causate è più di una dichiarazione d'intenti. Il mistero non è importante in quanto tale, come domanda senza risposta, ma come simbolo di qualcosa di indecifrabile e totalmente fuori dalla portata della comprensione umana. Non è l'esperimento di Flashforward, non è la catastrofe tecnologica di Revolution, non è la fantascienza di 4400. Tutti eventi collettivi, tutti apparentemente incomprensibili, ma ai quali si opponeva la strenua volontà di razionalizzare, di riportare ogni cosa ad una spiegazione comprensibile. Erano serie che si muovevano lungo quella direttrice, e che quindi ponevano la ricerca della risposta alla base della storia. Ma The Leftovers non si guarda indietro, anzi tutto il contrario. La vera sfida è riuscire a guardare avanti.
Non ci è dato sapere quali siano state le risposte emotive nel resto del mondo, ma quello che accade a Mapleton è lo specchio dell'anima americana. Non ci vuole un gran salto di fantasia a far coincidere il trauma collettivo mai veramente superato con lo spettro delle Torri Gemelle, ancora vivo specie in una scena nella quale verranno ricordati, nel giorno dell'anniversario, i nomi delle "vittime". E quindi il vuoto improvviso per una nazione eletta che si sveglia abbandonata a se stessa. Ognuno cercherà le proprie risposte a modo suo.
Questa la trama e il tema della serie. A parte questo, merita? La scrittura di Lindelof incespica in un concept interessante e ricco di possibili spunti senza riuscire a sfruttare pienamente l'occasione. Gli intenti sono chiari, ma l'esecuzione non è sempre a fuoco nel restituirci l'effetto emotivo che si vorrebbe raggiungere. Nel corso di un pilot troppo lungo – un'ora e dieci – e non in grado di tenere alto il ritmo per tutta la durata, il senso di tristezza, rassegnazione, depressione collettiva emerge dallo schermo (nemmeno un attimo di luce in tutto l'episodio), ma su tutto si staglia una sensazione di artificiosità. Il mood vuole essere grigio, lento, silenzioso come i membri dei Guilty Remnant, e per buona parte dell'episodio lo è. Il problema arriva poi quando questo approccio si contrappone ad alcuni scatti eccessivi (tanta violenza in questo pilot) o stranianti (un festino di giovani che trasuda HBO da tutti i pori). Il tutto narrato dalla regia di Peter Berg (Hancock, Battleship), non esattamente un autore drammatico, che non va oltre qualche rallenty poco poetico e vari flash nel passato montati quasi con effetto involontario "Family Guy".
Il concept è ottimo e carico di spunti, il casting forse non brilla, ma funziona, la tematica è perfettamente inquadrata (alla fine Les Revenants, pur raccontando un "cammino" opposto, non era tanto diverso), quello che è mancato in questo primo episodio è stato un'esecuzione adeguata.