The Last of Us Parte II, un sequel forse evitabile, indiscutibilmente imperdibile | Recensione
Un po’ come per Revenant, il film con protagonista Leonardo di Caprio, troverete The Last of Us Parte II magistrale, ma difficilmente avrete voglia di completarlo, e quindi di soffrire, una seconda volta
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Il diretto sequel, per forza di cose, non poteva far altro che tentare di alzare ulteriormente l’asticella, nell’implicita consapevolezza che non avrebbe potuto eguagliare in alcun modo l’impatto emotivo scaturito dal prologo dell’originale, né sorprendere con meccaniche particolarmente innovative e rivoluzionarie.
Era difficile, insomma, proporre qualcosa di simile, strettamente collegato e derivato, nel senso positivo del termine beninteso, senza correre il rischio di scadere nel banale, nella semplice rivisitazione, nel patetico, nel peggiore dei casi.
[caption id="attachment_212858" align="aligncenter" width="1000"] The Last of Us Part II è promosso a pieni voti anche sul fronte della longevità. Per completarlo a livello medio non ci impiegherete meno di 35 ore[/caption]
The Last of Us Parte II non è la classica killer application che promette notti insonni e sessioni di gioco interminabili. Completarlo tutto d’un fiato è il modo peggiore per approcciarsi all’opera di Neil Druckmann e soci.
La vendetta di Ellie, il chi e il perché ve lo lasciamo scoprire da soli, è un pasto che va servito freddo, a piccole portate, lasciando distendere nervi e mente tra una partita e l’altra.
L’immedesimazione voluta e imposta da Naughty Dog con la protagonista è totale, completa, estrema. The Last of Us Parte II, come già il prequel, non è un gioco per tutti, né che tutti apprezzeranno allo stesso modo. Mette in campo valori produttivi straordinari, oggettivamente inattaccabili, ma costringe l’utente a un pesante compromesso, ovvero quello di assorbire per intero e senza sconti il ventaglio di emozioni, per lo più fastidiose, disturbanti e shoccanti, che Ellie prova sulla sua pelle.
"Rispetto all’originale c’è una miglior gestione del ritmo dell’avventura"Rispetto all’originale, questo è innegabile, c’è una miglior gestione del ritmo dell’avventura. Striminzite sezioni open-world e piccoli flashback, fondamentali per recuperare pezzi di storia inizialmente sconosciuti che spiegano l’evoluzione dei rapporti tra i personaggi, distendono la tensione, fungendo da diversivo, offrendo uno sfogo restaurante per chi non riesce a sopportare la tensione troppo a lungo.
Si tratta, tuttavia, di brevi momenti diluiti in un’ordalia per nulla accondiscendente nei confronti di Ellie naturalmente, ma soprattutto del videogiocatore, costantemente braccato, ossessivamente inseguito.
Le minacce in gioco sono molteplici, ben più varie che in passato. Senza soluzione di continuità si passa dai Clicker a pattuglie di umani ostili. I cani possono fiutare il vostro odore, nuove mutazioni del Cordyceps vi costringeranno a rivedere in toto le vostre strategie. Se Joel poteva permettersi uccisioni silenziose in serie, nei panni della ragazza l’andamento degli scontri è assolutamente sinusoidale.
Per quanto si possa essere bravi nel nascondersi e nel pianificare le proprie mosse, vuoi per alcune tipologie di nemici che dovrete affrontare, vuoi per l’improvviso e inaspettato arrivo di rinforzi, si spara e si corre molto più che in passato. La vegetazione è un alleato fondamentale per far perdere le proprie tracce, l’arco è insostituibile per sbarazzarsi di ostili dalla distanza senza attirare l’attenzione. Tuttavia bisogna sviluppare i riflessi, essere pronti ad azioni tanto repentine quanto violente e sfrontate.
L’arsenale non è poi molto diverso da quello del prequel, ma sarete stimolati e incentivati a utilizzarlo in modi che non avreste mai pensato prima d’ora. In questo senso aiuta moltissimo anche il level design, che spesso si apre ad aree insospettabilmente ampie, che non disdegnano una certa verticalità.
Ascoltare i rumori, interpretare gli effetti sonori che indicano la presenza di un nemico che sta per individuarvi sono azioni imprescindibili per salvare la pelle, almeno quanto lo è il saper dosare le proprie risorse. In questo The Last of Us Parte II non si discosta di un millimetro dal predecessore. Esplorare significa recuperare munizioni, materiali con cui creare medikit, trappole, strumenti offensivi ancora più efficaci. Torna il tavolo da lavoro per incrementare il potere di fuoco delle armi, così come i medicinali, utili per migliorare le skill di Ellie.
Tutto, insomma, è al suo posto, talmente tanto che si giunge ai titoli di coda storditi, frastornati, con la netta sensazione che si sia saltato un passaggio.
Come detto The Last of Us Parte II non è un gioco qualsiasi. Similmente a Red Dead Redemption 2, e per certi versi con ancor più intransigenza, impone un andamento ludico e soprattutto emotivo unico nel suo genere. Non ha alcuna intenzione di divertire, né intende sorprendere. Vuole essere una storia coerente in tutto e per tutto, al punto da disorientare l’utente, solitamente alle prese con titoli che cercano a tutti i costi l’effetto speciale, la meraviglia, lo stupore.
Ciò non significa che ad attendervi non ci siano colpi di scena, beninteso. Come fu già per l’originale, anche The Last of Us Parte II fissa l’attenzione dell’utente sul presente, anticipando gli eventi futuri. Vuole che lo spettatore anneghi nella rabbia, nell’odio, nella progressiva follia omicida di Ellie, lasciando intuire dove il corso degli eventi andrà a parare, nel costante terrore che i peggiori auspici possano realizzarsi proprio nella cut-scene a cui si sta assistendo.
La produzione Sony è una creatura quanto mai complessa, inedita per quanto innegabilmente derivativa. Naughty Dog si è certamente superata in termini grafici, regalandoci il titolo più dettagliato mai visto su PlayStation 4; dal punto di vista ludico, approfondendo ulteriormente il gameplay e gestendo meglio il ritmo dell’avventura; da quello artistico, anche se in quest’ambito il discorso è certamente più controverso e sfaccettato.
[caption id="attachment_211116" align="aligncenter" width="1024"] Nonostante le tante polemiche che hanno preceduto il debutto ufficiale del gioco, quella di The Last of Us Part II non è affatto violenza gratuita. È un titolo certamente crudo, ma ogni scena ha il suo perché.[/caption]
Seattle e le altre ambientazioni che fanno da sfondo all’epopea di Ellie sono scenari credibili, pronti a raccontare decine di storie diverse. I panorami mozzafiato, in un senso o nell’altro, si sprecano. Visivamente tutto funziona per il verso giusto, narrativamente le cose sono ben diverse.
The Last of Us Parte II è un capolavoro di scrittura, un’opera comprensibile e correttamente interpretabile solo se accettata per quella che è. Non ci sono voli pindarici, spiegoni esaustivi, impronosticabili colpi ad effetto. C’è la violenza di un mondo allo sfascio, ormai popolato da troppi esseri umani disperati e fiaccati nello spirito. Ed è proprio questo a causare il senso di vuoto a cui si accennava poco prima. Non c’è altro, perché non può esserci altro.
Probabilmente aveva ragione Naughty Dog, anni fa, quando affermava che un sequel di The Last of Us sarebbe stato impossibile da realizzare. Di fronte ai titoli di coda è inevitabile trovarsi d’accordo. Eppure affaticati, stressati e spossati da una vendetta cercata con tanta ossessione da essere alienante, ci si accorge di aver appena vissuto un’esperienza unica, travolgente, adrenalinica.
Un po’ come per Revenant, il film diretto da Alejandro González Iñárritu e con protagonista Leonardo Di Caprio, lo troverete magistrale, ma difficilmente avrete voglia di completarlo, e quindi di soffrire, una seconda volta.