The Last Duel, la recensione | Venezia 78

Diviso in tre momenti per raccontare la storia da punti di vista diversi, The Last Duel ha poco del duello e molto del film in cui non c'è spazio per lo spettatore

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
The Last Duel, la recensione | Venezia 78

Quella bestia a più teste, impossibile da governare e così difficile da interpretare, che è la verità, sta nel mirino di The Last Duel, film solo promozionalmente centrato su un duello, in realtà centrato su un’accusa e su un rapporto tra due cavalieri del 1300. È una storia vera e noi vediamo come lungo gli anni questi due uomini così diversi, uno scarpe grosse e caratteraccio, l’altro con studi alle spalle, di mondo e capace di stare in società, si sono avvicinati e distanziati perché troppo diversi in un mondo classista. Solo alla fine ci sarà il fattaccio da cui il duello. Per l’appunto l’ultimo mai legalmente autorizzato in Francia.

Melodramma senza mai davvero accettare la propria natura, finto film d’azione epico solo a tratti e per brevi segmenti, The Last Duel ha una natura ibrida di cui non sa come beneficiare. Non ha niente delle sceneggiature di Ben Affleck (che con Matt Damon e Nicole Holofcener l’ha scritto), soprattutto non ha il coraggio di lavorare davvero sui sentimenti che pure non mancherebbero. Chi sono questi due cavalieri e cosa questa storia narrata dai loro due punti di vista per più di metà film ci dice sulle diverse maniere di essere uomini in un’era in cui essere uomini (per un uomo) era tutto? Non è di interesse per il film anche se passiamo tantissimo tempo appresso ad essa. L’obiettivo è un altro. Lo capiamo quando dopo aver visto gli eventi dal punto di vista di Jean de Carrouges, e dopo averli visti di nuovo da quello di Jacques Le Gris, ci vengono proposti una terza volta (!) da quello di Marguerite, vera vittima della storia e moglie di de Carrouges.

A quel punto, l’attacco del terzo atto, capiamo cosa sia questo film, un’operazione che nega totalmente una delle frasi pronunciate da Ben Affleck, ringiovanitissimo solo grazie ad una tinta bionda in stile anni ‘90 (ma si portava anche all’epoca): “Le menti semplici vedono malvagi ed eroi, non capiscono le sfumature”. The Last Duel desidera trovare la complessità ma lo fa con l’espediente più pigro, presentando le due versioni dei due coinvolti nel duello. E con la terza divide davvero in malvagi ed eroi, perché impone di fatto una nuova verità, quella non dell’epoca ma della lettura con la consapevolezza e la testa del presente.

The Last Duel nell’incorporare i punti di vista maschili e quello femminile di fatto crea un ponte tra il cinema di ieri e quello di oggi. Non sfugge a nessuno come le prime due versioni siano la rappresentazione di quella trama da parte del mondo del cinema come lo abbiamo conosciuto sempre, cioè maschile e con un’ottica maschile in cui le donne sono oggetti o motori immobili, utili all’eccitazione o alla preoccupazione degli uomini. Mentre la terza versione è il cinema contemporaneo che legge i problemi delle donne e ne racconta l’esperienza, la posizione e la fatica.
Sarebbe stata un’impostazione perfetta (al netto della lungaggine di un film che passa sui medesimi eventi tre volte senza saper variare a sufficienza per non annoiare), non fosse che è così smaccata, così imposta e così palesemente divisa tra “malvagi ed eroi” da essere irricevibile.

La tesi è palesemente la più giusta, quella di due uomini che pensano a sé, ai loro duelli e al loro onore facendosi scudo dell’onore di una donna della quale poi, lo scopriamo nella terza versione, non importa davvero niente a nessuno. Ma raccontarlo con scene come quella in cui Jamie Comer (ovvero Lady Marguerite) nell’accettare un matrimonio che già non le va troppo a genio per cominciare, guarda con aria comprensiva una statuetta della Madonna, come a creare un parallelo, è davvero la fatica minima possibile.

Continua a leggere su BadTaste