The Inpatient, Supermassive Games alla prova con la realtà virtuale - Recensione

Il prequel di Until Dawn, in esclusiva per PlayStation VR: la recensione di The Inpatient

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Con i walking simulator, in fin dei conti, è molto semplice. Se il comparto artistico non regge, c’è poco da aggiungere, analizzare, commentare: il gioco non ce la fa, non ha praticamente nulla da offrire, si configura come un’esperienza largamente noiosa, quando non frustrante. È stato così per Everybody’s Gone to the Rapture, altra produzione Sony che ha parzialmente deluso le attese, lo è oggi per The Inpatient, primo passo falso di Supermassive Games, software house che ha calcato le luci della ribalta grazie ad Until Dawn, avventura teen-horror di cui questo titolo in realtà virtuale ne rappresenta il prequel.

Torna, difatti, l’impostazione vagamente passiva del gameplay, offrendo all’utente un’esperienza sostenuta e vincolata dall’ormai noto Effetto Farfalla, feature che conduce su differenti snodi narrativi, e conseguenti finali, a seconda delle scelte prese nel corso dell’avventura.

A differenza del sequel, l’azione è stata totalmente soppiantata da una lunga serie di dialoghi, intramezzati da rare fasi in cui bisogna esplorare ridottissime ambientazioni muovendo in prima persona l’avatar, protagonista affetto da amnesia, suo malgrado ospite non pagante presso la struttura di Blackwood, ospedale psichiatrico per detenuti, edificio diretto e “governato” da un dottore senza scrupoli che effettua misteriosi test sui propri pazienti.

[caption id="attachment_181940" align="aligncenter" width="1000"]The Inpatient screenshot Prigioniero della struttura, il protagonista comincerà a sospettare molto presto di essere al centro di qualche complotto.[/caption]

Le premesse sono intriganti e i fan della serie, nonostante il gioco sia godibile anche dai neofiti, non mancheranno di cogliere i tanti rimandi e le citazioni ad Until Dawn. Sulle prime, difatti, ci si ammalia di fronte ai dettagliatissimi e fatiscenti scenari disegnati dagli artisti della software house. Inoltre, la simpatica trovata di poter rispondere alle domande dei personaggi usando direttamente la propria voce, invece del normale controller, opzione comunque sempre disponibile, impepa il tutto aumentando ulteriormente il senso di immersione già garantito dal PlayStation VR."The Inpatient delude tremendamente proprio sul piano narrativo, non riuscendo mai ad inscenare un dramma degno di questo nome, accontentandosi di proporre un paio di situazioni horror scenicamente d’impatto."

Dopo un preambolo utile ad inquadrare la situazione, ad individuare il “villain” della situazione e ad innescare gli espedienti narrativi che terranno banco per tutta la durata dell’esperienza, ci si ritrova purtroppo prigionieri di un corpo che non risponde agli stimoli come ci si aspetterebbe, costretti in un arco narrativo che non accenna mai a compiere il tanto desiderato passo in avanti.

Il sistema di controllo, soffre di un’inspiegabile imprecisione di fondo che si ripercuote nella fondamentale ingovernabilità dei movimenti del busto dell’avatar. Sia con il Dualshock 4 che con una coppia di Move, se interagire con gli oggetti non desta particolari problematiche, deambulare per le corsie e le stanze del manicomio è un’attività sorprendentemente difficile da compiere. Si procede ricalibrando di continuo la traiettoria, scoprendo a proprie spese che non si può indietreggiare, visto che non appena si sposta la leva analogica verso il basso il protagonista compie automaticamente un giro su sé stesso.

Problematiche del genere scivolerebbero naturalmente in secondo piano se tutto il resto funzionasse. Purtroppo, come già premesso, The Inpatient delude tremendamente proprio sul piano narrativo, non riuscendo mai ad inscenare un dramma degno di questo nome, accontentandosi di proporre un paio di situazioni horror scenicamente d’impatto, ma dai contenuti piuttosto poveri.

Si salta dalla sedia in un paio d’occasioni, ma quello che poteva essere un’interessante introspezione nel ricchissimo background di Until Dawn, si rivela una noiosa scampagnata in un passato lontanissimo, che fornisce qualche risposta ai fan, ma che non appassiona mai completamente.

[caption id="attachment_181941" align="aligncenter" width="1000"]The Inpatient screenshot Graficamente il gioco impressiona soprattutto per il livello di pulizia dell’immagine, ottimo anche sul modello classico di PlayStation 4.[/caption]

La sceneggiatura è rinunciataria, frammentata e spezzettata in fin troppe brevi sequenze che mortificano la tensione drammatica e rende difficile tenere alto l’interesse e l’attenzione. Ci si distrae tra una schermata e l’altra, chiedendosi di continuo quando terminerà il preambolo, speranzosi che l’azione entri nel vivo, sensazione che resta immutata sino ai titoli di coda, già tre ore dopo aver iniziato a giocare.

Manca un avversario degno di questo nome, un intreccio capace di tenere col fiato sospeso, inoltre plot svela troppo poco, mentre le sezioni in cui si esplora la psiche malata del protagonista, indiscutibilmente la parte migliore del gioco, durano troppo poco per salvare la situazione.

Supermassive Games con The Inpatient ha semplicemente toppato, offrendoci un esperienza largamente noiosa, mal scritta, pessimamente diretta. Si salva qualche sequenza, qua e là, e i fan di Until Dawn potrebbero trovarlo interessante per i dettagli che legano questo gioco al suo sequel. Resta la delusione per un avventura in realtà virtuale piatta e ridondante, ulteriormente impoverita da un sistema di controllo inspiegabilmente impreciso e frustrante.

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