The Idol, la recensione dei primi due episodi

Dietro al feticismo per i corpi di The Idol c'è l'essenza della pop music moderna, cioè la centralità della performer e della sua mutazione

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione dei primi due episodi della prima stagione di The Idol, presentati al Festival di Cannes e in arrivo su Sky e NOW dal 5 giugno

C’è qualcuno che vuole fare la scalata alla vita e agli affari di una pop star in crisi. Questo capiamo nelle prime due puntate di The Idol, la nuova serie di Sam Levinson (Euphoria) che racconta i dolori di una musicista/performer/idol in stile Britney Spears ma moderna, decisamente più fondata sulla propria immagine di Taylor Swift, non così in controllo del proprio personaggio come Lady Gaga, molto più fragile di Beyoncé ma anche con più aspirazioni musicali di Dua Lipa. Si chiama Jocelyn e ora, a un anno dalla morte di sua madre, sta per lanciare un nuovo singolo con annesso shooting fotografico, video musicale e tutto quello che ne consegue. Il brano non le piace, la sua vita non le piace, rivorrebbe accanto la madre, è piena di dubbi e proprio in quel momento incontra una persona che sembra promettergli di trasformarla in quel che vuole.

C’è una cosa da subito al centro di The Idol ed è il corpo della performer. Nella prima scena qualcuno discute di lei, di quello che fa e dovrebbe fare mentre viene fotografata, sono i suoi agenti, i manager, gli uffici stampa, l’etichetta musicale e tutto il complesso di persone che sembrano avere il reale controllo di quel che Jocelyn fa. Nello shooting molto sexy lei vuole anche mostrare dei capezzoli, qualcuno dice che non sono state firmate le autorizzazioni per farlo, lei sostiene che stanno facendo tutto a casa sua, per il suo disco ed è il suo corpo, ma non basta. Mille problemi che ci appaiono inutili come appaiono inutili a lei che vorrebbe solo fare quel che vuole in questo servizio svestita con un braccialetto che rimanda a un mondo di problemi mentali (“La malattia mentale è sexy” commenta la responsabile dell’etichetta).

Jocelyn è sessualmente molto attiva, ha desiderio di tante cose, di conoscere, di trovare qualcuno e di cambiare. E il cambiamento, la mutazione della maniera in cui i corpi delle performer si presentano è tutto nella pop music contemporanea, l’ha inventato Madonna ma si è adeguata chiunque sia venuta dopo di lei. Jocelyn vuole cambiare ma il mondo intorno a lei cerca di evitarlo, preferisce rincuorarla nelle sue crisi, rassicurarla e spingerla con tantissima delicatezza e decisamente molto tatto a finire quel video musicale, evitare che dia proprio tutto ed evitare che si fissi con il perfezionismo. Meglio portare a casa la giornata di lavoro (visti i costi) che fare le cose perfette. Lei invece vorrebbe essere come Prince, un artista di quelli “che ce n’è uno per generazione”.

L’unico ad ascoltarla è un produttore/proprietario di locali, una figura a dir poco losca, che la conquista sessualmente. Lui e il suo entourage ambiguo (ci vengono mostrati in una scena di ballo, sesso ed elettrocuzione che stare perfettamente in una serie di Nicolas Refn) cercano di insinuarsi nella vita di lei e prendere il posto dell’altro team che la gestiva. Qui si interrompe la seconda delle due puntate mostrate in anteprima al festival di Cannes. È subito evidente che Levinson lavori molto bene il mistero, quella molla che spinge a guardare l’episodio successivo, mentre la serie distende con abilità quello di cui vuole davvero parlare. Ovviamente è la centralità del corpo e del desiderio sessuale nelle nostre vite il cuore di tutto. In The Idol c’è una perfetta identificazione tra tutto quello che il corpo di Jocelyn sente, dal dolore alle ambizioni, dalla commozione all’eccitazione, e quello che Jocelyn fa o la sua mente sente. Lei è il suo corpo. Non c’è altro.

Lavorare al videoclip è una questione di dolore sopportato, di sangue e ferite. Aprirsi ad una nuova sé è una questione di atti sessuali e partner rimorchiati in discoteca. Addirittura anche la circonvenzione della sua assistente personale che in teoria dovrebbe controllarla avviene a partire dal suo corpo, uno opposto a quello di Jocelyn (scelta di casting perfetta quella di Rachel Sennott) estraneo al mondo di volti perfetti, corpi scolpiti, abiti che calzano perfettamente e universo patinato in cui lavora. La sua è una presenza quasi operaia, inadatta a gestire l’attrazione ai massimi livelli.

Rispetto ad Euphoria la componente di tecnica è poi ancora più raffinata, con un uso distaccato e separato di colonna audio e immagini, vediamo Jocelyn ma sentiamo sempre qualcuno che parla di lei, che discute quel che fa come lo fa e pianifica cosa dirle e cosa non dirle. Tutto fotografato come se la serie stessa fosse un videoclip. The Idol immagina il mondo delle pop idol in modi non diversi dall’audiovisivo che producono. La seduzione e gli atti sessuali non hanno la concretezza di Euphoria ma la stilizzazione dei video hip hop, non hanno le conseguenze sentimentali dell’altra serie ma l’esaltazione della star che canta. E in questo vortice anche la scelta di Prince come modello per la protagonista sembra perfetta tanto quanto quella di Lily-Rose Depp che ha compreso perfettamente il progetto di cui è parte e recita con il corpo a tutti i livelli, lo usa come uno strumento, lo mette in mostra chiaramente ma proprio lo lavora di scena in scena. Se continua così è qualcosa.

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