The I-Land: la recensione

The I-Land è un guazzabuglio incoerente che trascina lo spettatore verso un finale che poco o niente risolve di ciò che ha seminato

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Spoiler Alert
C'è del buono in ogni cosa, viene spesso da dire per contrastare le comprensibili tendenze al pessimismo che la vita impone all'essere umano. Occorrerebbe aggiungere un quasi prima di quell'ogni cosa, perché quando ci si trova di fronte a un prodotto come The I-Land non c'è speranzoso ottimismo che tenga. Nel seppur variegato - qualitativamente parlando - catalogo Netflix, di rado si era visto un pasticcio così inconcludente e privo di appigli per chiunque, armato di buona volontà, nutrisse il proposito di difenderlo.

La premessa, ricalcata da Lost con mano tremolante e raffinatezza di scrittura pari a quella di un bonobo, è semplice: dieci persone si risvegliano su un'isola, privi dei propri ricordi e di qualsivoglia indizio sulla propria identità. Non vi entusiasmate, ogni briciolo di curiosità soccombe ben presto alla rozzezza di una sceneggiatura che dipinge i propri protagonisti con svogliata approssimazione; si è portati a pensare che questi profili psicologici tagliati con l'accetta siano il risultato di tempistiche di scrittura troppo serrate, risultanti in un manipolo di archetipi tanto bidimensionali da far rimpiangere le favole di Esopo.

Qualora non bastassero i primi tre episodi a far perdere le speranze al pubblico, la quarta puntata irrompe con la prepotenza del cliffhanger, promettendo ciò che non sarà mai in grado di mantenere: svolte inaspettate ed emozionanti. È vero che, forse, qualche elemento inatteso c'è; in questo senso, la serie procede in modo inverso rispetto a una delle sue possibili fonti d'ispirazione, quella Westworld che ha fatto della propria prima stagione una dichiarazione di fiducia nei confronti del pubblico, seminando indizi atti a condurre lo spettatore alla soluzione del proprio complesso - ma accessibile - enigma.

The I-Land fa l'esatto opposto: infarcisce una trama di per sé semplicissima con elementi volti solo a confondere le acque, senza però avvalersi di una visione più alta che possa dare unitarietà alle molte fila del racconto. Inganna, inoltre, l'occhio di chi guarda non per programmata malizia, ma per colposa superficialità. Nemmeno il decoro della coerenza tra flashback e rivelazioni finali viene concesso al povero spettatore, trascinato senza pietà verso una conclusione che arriva a liberarlo dalle tenebre del tedio. Le colpe della serie Netflix non si limitano certo al comparto sceneggiatoriale: priva di guizzi visivi, appiattita su un'estetica che verrebbe ritenuta dozzinale persino per uno spot di un villaggio turistico, The I-Land non può contare neppure su performance attoriali dignitose, avvalendosi di un cast perplesso e limitato a un range espressivo commisurato alla già citata bidimensionalità dei personaggi. In questo caso, possiamo lodare la perfetta corrispondenza tra contenitore e contenuto.

Come accennato poc'anzi, è con il primo vero colpo di scena che la serie abbandona il terreno della mediocrità per affondare le mani in quello del cattivo gusto e del ridicolo: basterebbero i nuovi figuri in cui la protagonista Chase (una spaesata Natalie Martinez) s'imbatte al proprio risveglio a motivare la perdita d'ogni residua speranza nei confronti del guazzabuglio in atto. Accanto a un tracotante direttore carcerario abbigliato da cattivo texano, incontriamo membri influenti di una comunità scientifica mai stata tanto povera di neuroni: la dottoressa Stevenson (Margaret Colin), il dottor Dafoe (Victor Slezak), il professor Verne (John Earl Jelks), il dottor Conrad (Subhash Mandal) e la dottoressa Wyss (Dalia Davi). Capito il sottile riferimento? Sì, anche noi abbiamo sentito la gomitata complice degli sceneggiatori colpirci dritti in pancia.

Non finisce qui: sull'isola, oltre ai naufraghi smemorati, compaiono anche due loschi individui chiamati - indovinate un po'? - Bonnie (Clara Wong) e Clyde (KeiLyn Durrel Jones). Il nome ideale da dichiarare, volendo passare inosservati come coppia; ma, in fin dei conti, si tratta di sabotatori di un esperimento dalle premesse opinabilissime, al diavolo la riservatezza. Il vero nemico - piuttosto sciocco, a dirla tutta - è fuori, o sopra, o dietro, come Lost aveva ventilato la bellezza di quindici anni fa; e sfidiamo i più strenui detrattori della serie di J. J. Abrams a guardare The I-Land senza rivalutare in toto l'oggetto delle loro concitate critiche.

Per i nostalgici, c'è persino una versione grezza del triangolo amoroso di Jack, Kate e Sawyer, nonché la rapida scoperta della natura maligna e senziente dell'isola e, dulcis in fundo, un esercizio di numerologia tanto elementare quanto fine a se stesso. Come Lost, la miniserie è infarcita di flashback esplicativi che dovrebbero aggiungere sfumatura ai monocromi personaggi, ma che finiscono per assumere i contorni di luridi melodrammi la cui unica funzione è attaccare con malagrazia il senso di colpa addosso a caratteri privi, altrimenti, di qualsiasi mordente drammatico.

Procedendo su un terreno che abbandona le atmosfere più soprannaturali per ricascare in un implausibile thriller futurista, le assurdità si intensificano fino ad arrivare a un finale che potremmo definire impavido nella sua sprezzante mancanza di rilevanza rispetto a tutti gli accadimenti precedenti. Nulla, di ciò che ci viene svelato, è utile ai fini di ciò che abbiamo dovuto sopportare per sette pessimi episodi.

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