The Humans, la recensione

Seguendo quasi in tempo reale il dispiegarsi a fuoco basso di una semplice rivelazione, The Humans veicola con quel medesimo ardore sopito una condizione umana universale.

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La recensione di The Humans, su MUBI dal 12 agosto

Dietro il buonismo moralista di una famiglia media americana c’è una tetra consapevolezza di morte e peccato. Potrebbe essere una piéce di Tennessee Williams, e invece questo nucleo di ardenti non-detti che rende pesante l’aria durante una cena di Ringraziamento in un polveroso appartamento newyorkese è quello che aleggia gravemente in The Humans di Stephen Karam

Adattato da una play di Karam stesso, qui anche sceneggiatore, The Humans con una grammatica cinematografica essenziale alterna l’immobilismo dei volti degli attori ad un’esplorazione onniscente, vagando per i muri e le pareti di una casa di Chinatown dove i fantasmi evocati dai protagonisti si scoprono come folgorazioni nei loro riflessi, nelle luci delle torce che illuminano scantinati e soffitte. L’effetto è magnetico, doloroso, tacitamente devastante.

Tutto inizia con l’arrivo dei coniugi Blake, Erik e Deirde (Richard Jenkins e Jayne Houdyshell) nella nuova casa della figlia Brigid (Beanie Feldstein) e il compagno Richard (Steven Yeun), un luogo in teoria grande e spazioso ma sinistramente vuoto e scricchiolante, dove si recano insieme all’altra figlia Aimee (Amy Schumer) e alla nonna affetta di alzheimer per passare insieme il Ringraziamento.

E quale momento migliore se non uno rituale, di una famiglia fortemente credente, per rievocare in pieno spirito modernista tutto il rimosso accumulato negli anni da personaggi spenti e abituati a fingere? Seguendo quasi in tempo reale il dispiegarsi a fuoco basso di una semplice rivelazione che detonerà nel silenzio e nell’immoblismo dei protagonisti, lasciandoli forse al punto di partenza, The Humans veicola con quel medesimo ardore sopito una condizione umana universale. Stephen Karam si serve di tutti gli strumenti a sua disposizione - regia, scrittura, messa in scena, direzione attoriale - per mantenere sempre coerente i personaggi nella loro natura di cera, incapaci di dimostrarsi vero affetto nonostante i continui ringraziamenti e le risate che, pur di cuore, ne fanno il ritratto di una normalissima famiglia media. Normale, poco interessante. E per questo tragicamente reale.

Costruito con una mini-trama dove i punti di rottura sono minuzie che sfuggono ad occhio nudo, The Humans crea in realtà una struttura solidamente coerente, perfettamente tematizzata. Karam osserva i personaggi farsi del male da soli con l’impressione di stargli freddamente lontano, salvo poi avvicinarvisi per concedergli qualche momento di forte intimità dove ancora un gesto banale, come un pianto o una preghiera, rivelano senza dire tutto ciò che il film ci vuole far capire.

Siete d’accordo con la nostra recensione di The Humans? Scrivetelo nei commenti!

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