The Human Voice, la recensione | Venezia 77

Primo film girato dopo il lockdown ad essere proiettato, The Human Voice è cinema che manga il teatro e lavora sul volto più incredibile dei nostri anni

Critico e giornalista cinematografico


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Tilda Swinton ha fatto tante cose ma non è mai stata una donna almodovariana. Non c’è bisogno di recitare in un film di Pedro Almodovar come The Human Voice per esserlo, è uno standard di femminilità e passionalità che esiste solo al cinema, ed esiste da prima che Almodovar facesse film. Lui ha tradotto nel cinema contemporaneo quello standard, prelevandolo dagli anni ‘40 e ‘50 e trasformandolo in qualcosa che ha senso in un setting moderno. Ed è l’opposto dei ruoli che abbiniamo a Tilda Swinton, la quale anche quando è sopraffatta dalle passioni in Io sono l’amore mantiene il suo rigore e il suo controllo e attraverso quelli lascia passare il turbamento interiore.

Questi 30 minuti tratti da La voce umana di Cocteau deviano dalle deviazioni che Almodovar stesso aveva preso nel 1988 quando da quel testo teatrale aveva creato Donne sull’orlo di una crisi di nervi, sono più fedeli allo spirito originale ma lavorano meglio di tutti gli altri adattamenti sul corpo e sul volto. Tilda Swinton è un’attrice in un teatro di posa, in cui arriva dopo aver comprato un’ascia e fatto a pezzi i vestiti dell’uomo che l’ha lasciata, al telefono con lui passa attraverso la disperazione, l’umiliazione e poi la confessione e alla fine, splendida, la risolutezza. C’è di nuovo il fuoco (Carmen Maura dava fuoco al letto) con una tanica di benzina tutta rossa, in tono con i colori e l’arredamento di Almodovar. E c’è di nuovo la potenza femminile.

Solo che stavolta è Tilda, non Carmen Maura o un’altra delle donne al cubo almodovariana, niente di mediterraneo tutto di algido e classico. Per la prima volta Almodovar ha a che fare con una star dagli standard americani e dalle fattezze nordeuropee, con un fisico secco e asciutto, slanciato e spigoloso. Non la trasforma ma cavalca quei tratti, facendole sbattere addosso i suoi rossi e inquadrando quel volto incredibile che ha Tilda Swinton come il paesaggio che è.

Ma non solo. Tilda Swinton con gli auricolari non è confinata alla cornetta come le altre interpreti in passato, abita il suo appartamento, lo attraversa, cammina e lavora di volto e vestaglia nella stessa maniera. È teatro filmato a livelli altissimi, è cinema che prende il teatro, lo rispetta e lo aumenta iniettandoci un mondo in cui ogni oggetto grida desiderio d’amore.
Alla fine poi il corto si apre all’attualità.

Per l’adattamento Almodovar crea un teatro di posa claustrofobico intorno all’appartamento (curiosamente anche quello di Donne sull’orlo di una crisi di nervi era palesemente un appartamento finto) solo per aprirlo nel finale.
Questo è il primo film che abbiamo visto girato dopo il lockdown, e di conseguenza questa versione di La voce umana non parla solo di una donna lasciata, sofferente e chiusa nel proprio dolore che si apre ad una nuova vita. Parla del periodo che abbiamo vissuto, chiusi e di come possiamo aprirci e uscire in strada come Tilda con il suo cane.

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