The Handmaid's Tale 2×04 "Other Women": la recensione
La nostra recensione del quarto episodio della seconda stagione di The Handmaid's Tale intitolato Other Women
Legata con una catena ad un letto, con nient'altro da fare se non contare il numero dei fiori che ricoprono il suo copriletto, June, guardata a vista da Zia Lydia, cerca di trovare la forza di ribellarsi a ciò che potrebbe aspettarla. Colei che una volta chiamavano Difred sa che fino a che porterà in grembo il bambino di proprietà degli Waterford nessuno oserà farle del male ed in questo, almeno inizialmente, trova la sua forma di resistenza che evolve da quella più passiva della prima stagione, all'aperto atteggiamento di sfida che tiene nei confronti della sua aguzzina e più avanti, con il Comandante e Serena Joy, quando sarà riportata nella casa da cui era scappata.
Colei che vediamo nella prima parte dell'episodio è una donna molto diversa da quella della prima installazione della serie, in parte incoraggiata proprio dal sapore della liberà che ha avuto il privilegio di gustare. La June che rifiuta di farsi chiamare Diffred, che sfida con sprezzante ironia Zia Lydia, che affronta con sguardo fermo Serena Joy, osando persino minacciarla nello stesso modo in cui lei stessa era stata a sua volta minacciata, promettendole che fino a che sua figlia sarà al sicuro, anche il bambino nel suo ventre non subirà danni, la donna che rifiuta di abbassare lo sguardo, che non mangia quando le viene ordinato e che comprende di avere un arma nella creatura che sta crescendo dentro di sé, questa June è - come accennavamo - molto più forte e molto più combattiva di colei che abbiamo imparato a conoscere.
Ma quanto è facile spezzare un'anima?
Maggiore è la sua resistenza, più grande sarà la punizione che subirà. June avrebbe forse dovuto prendere in considerazione questo fatto quando ha deciso di non prestare più il fianco a tutti gli abusi dei suoi aguzzini e quello che le accade è forse peggiore di una punizione fisica, sebbene la lingua tagliata della sua ex amica Diglen o le bruciature sul braccio di Dirobert, testimonino pienamente la capacità dei rappresentati del governo di mutilare senza uccidere.
L'attacco compiuto ai danni di June risulterà infatti peggiore della morte, perché sarà atto a fiaccarne lo spirito, a farla arrendere e isolarla in mille, orribili modi, con Rita, la Marta della casa, che le restituisce le lettere, con il controllo continuo di Zia Lydia, con l'aggressivo e latente odio della moglie del Comandante, con la decisione di coprire quella scritta, nascosta all'interno del suo armadio, che le aveva dato tanta speranza nel passato, con l'atteggiamento indifferente di Nic, preoccupato più che altro di non esporsi, ma soprattutto instillandole un devastante senso di colpa.
Più volte June, nel corso dell'episodio, dirà a se stessa che sarebbe meglio essere ignoranti, non capire cosa ci sta accadendo intorno, piuttosto che essere consapevoli, perché questo è l'unico modo di salvarsi dal senso di colpa per le conseguenze delle azioni che si è scelto di intraprendere, una sorta di leitmotiv che mostrerà i suoi effetti sia nei flashback dell'episodio, in cui vediamo June venire faccia a faccia con l'allora moglie di Luke, quando aveva iniziato con quest'ultimo una relazione extraconiugale, sia nel presente.
A farla giungere a questa conclusione sarà Zia Lydia che la porterà di fronte al corpo impiccato di Omar, l'uomo che l'aveva salvata portandola nella sua casa. Sarà sempre la Zia che le rivelerà inoltre che la moglie di Omar avrebbe espiato il suo peccato diventando a sua volta un'Ancella e che il loro bambino era stato invece affidato ad un'altra famiglia, una più degna. Così le dice.
Iniziare una relazione con un uomo sposato, azione che peraltro la condannerà in futuro a diventare un'Ancella a causa di un comportamento ritenuto indegno, ribellarsi rifiutando di lapidare Janine, fuggire e causare la morte delle persone che hanno cercato di aiutarla, sono azioni che hanno avuto delle conseguenze, tutte scaturite dalle decisioni che lei stessa ha consapevolmente preso: come può, quindi, non provare rimorso, come può non rendersi conto che merita di essere punita?
Mentre assistiamo al terribile spettacolo della volontà di June che viene piegata, viene contemporaneamente spontaneo domandarsi quanto ancora di tutto questo, da spettatori, potremo sopportare. Non è facile immaginare quale direzione prenderà la show da qui in avanti, considerato che siamo solo al quarto episodio di questa stagione, ma ci riesce difficile accettare l'idea di una Difred sconfitta, che si adegua alla vita che è costretta a fare perché non riesce più a trovare in se stessa la forza di reagire o, peggio, perché non vuole farlo, soprattutto dopo che le viene anche confermato che i membri della resistenza, del Mayday, hanno fatto sapere che non avrebbero più aiutato alcuna Ancella a fuggire a causa di quanto accaduto con lei.
Sebbene June sia circa al quarto mese di gravidanza, non l'abbiamo mai vista relazionarsi davvero con la creatura che porta in grembo se non per un breve momento, in questo episodio, quando la sente calciare per la prima volta. Seppure da una parte sia una comprensibile reazione alla certezza che, una volta nato, quel bambino le sarà strappato dalle braccia, dall'altra crediamo sia inevitabile che la protagonista cominci a pensare a lui o a lei negli stessi termini in cui pensa alla sua Hannah, soprattutto se posta di fronte alla certezza che una donna come Serena Joy le farà in futuro da madre. Ed a proposito di Serena Joy, ci sono davvero molti mostri in questa serie, ma pochi sono più temibili delle donne che abusano di altre donne come la signora Waterford fa con June che, proprio come lei, non può nascondersi dietro alla scusa di non capire o di non rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni.
Ancora una volta The Handmaid's Tale riesce ad atterrire gli spettatori in maniera imprevista e dolorosa e lo fa senza risparmiargli nulla, mostrandogli come la violenza non sia affatto la forma peggiore di tortura e guardandoli, mentre lo fa, negli occhi, con lo stesso sguardo intenso e diretto che Elisabeth Moss rivolgerà alla telecamera (e a noi tutti) nell'ultima scena di questa devastante puntata.