The Handmaid's Tale 2x03 "Baggage": la recensione

La nostra recensione del terzo episodio della seconda stagione di The Handmaid's Tale intitolato Baggage

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Spoiler Alert
E' interessante che il terzo episodio di The Handmaid's Tale sia intitolato "Baggage", cioè bagaglio, perché uno dei primi pensieri che sorge spontaneo nell'osservare June allontanarsi dal suo primo rifugio in quella che era stata la sede del Boston Globe, il quotidiano della città in cui è nata, è come la protagonista debba sentirsi ad essere stata privata di tutto, dell'identità, della libertà di gestire il proprio corpo e persino di qualcosa di così apparentemente sciocco e prosaico come avere un piccolo bagaglio da portare con sé quando le viene detto che sarà portata in un nuovo nascondiglio e che sarà il suo autista a provvedere a distruggere le poche tracce che ha lasciato di sé alle spalle.
Sebbene il titolo sia soprattutto riferito al bagaglio emotivo che i personaggi di questa intensa serie portano sulle spalle, è comunque curioso come le reazioni emotive scatenate da questo show siano spesso innescate da particolari apparentemente insignificanti come il fatto che la protagonista non possieda letteralmente più nulla di suo.

Dopo l'iniziale paura, June non solo riesce a trovare conforto nella sua nuova casa, a costruirsi una sorta di routine che la aiuterà a trascorrere il tempo nella solitudine in cui vive, tranne per le sporadiche visite di Nick, ma finirà persino per raccogliere informazioni grazie all'archivio del giornale al fine di rintracciare, proprio come farebbe un detective che indaga su un omicidio, un pattern che la aiuti a comprenderne l'enormità di quello che è successo al suo paese con la salita al potere dei Figli di Giacobbe e la completa perdita dei propri diritti civili.
Come abbiamo accennato nella recensione della scorsa settimana, essere catapultati d'improvviso in mezzo ad una tempesta non è come trovarcisi poco a poco, avendo il tempo per abituarsi a quelle che inizialmente risultano come piccole rinunce o privazioni alle quali si pensa di poter facilmente fare a meno.
La domanda, in un certo senso dovuta, alla quale questa seconda stagione sembra quindi decisa a darci una risposta, è come sia possibile che tutto questo sia accaduto sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno facesse alcunché per fermare il disastroso mutare degli eventi.
Come ha potuto June non accorgersi che tra l'obbligo della firma di suo marito su una ricetta per comprare anticoncezionali ed il diventare un'Ancella il passo sarebbe stato breve?
Quello che affascina particolarmente della protagonista di questa serie, dopotutto, è proprio la sua normalità, il suo non essere un'eroina se non quando le circostanze la obbligano ad agire per sopravvivere. June, fin dagli esordi di The Handmaid's Tale ci viene sicuramente descritta come una donna coraggiosa, capace di resistere, ma anche tremendamente normale nella sua ingenuità, nel suo innocente desiderio di vivere la propria vita, innamorarsi, sposarsi, avere un lavoro ed una famiglia quando il mondo intorno a lei si sta letteralmente sgretolando.

Gli eroi veri in questa storia, se vogliamo dare a questo termine la sua accezione mitologica di persone disposte a compiere gesta prodigiose ed alle quali attribuire meriti eccezionali, sono in un certo senso altri, mentre June è piuttosto una donna che ha imparato a resistere, che sopporta le avversità del fato che le è capitato con incredibile coraggio, ma non necessariamente un personaggio che ha in mano il proprio destino come Emily che, pur prigioniera nelle Colonie, è forse più libera della protagonista.

Nei flashback di questo episodio incontriamo inoltre la madre di JuneHolly (Cherry Jones), una strenua femminista che ha cercato di crescere la propria figlia inculcandole lo spirito della sua stessa ribellione, ma che - come è evidente - prova invece per la vita che lei ha scelto una certa delusione. Nulla di quello che sua figlia vuole sembra infatti incontrare il favore di Holly, né la scelta dell'uomo che vuole sposare, né la sua carriera e se in parte è sicuramente vero che la donna si dimostra molto più lungimirante di June nel riconoscere la pericolosità dei cambiamenti storici che stanno avvenendo sotto i loro occhi, è altrettanto vero che si dimostra meno sensibile verso il sangue del suo sangue.

Baggage è anche un episodio che ci parla di libertà e ci pone un altro scomodo interrogativo, facendoci riflettere su cosa sia peggio, se assaporarne il gusto e vedersela strappare o non averla mai davvero apprezzata.
Quando June viene infatti spostata dal suo vecchio, sicuro rifugio in un nuovo riparo da un corriere della resistenza chiamata Mayday, un uomo di nome Omar, le cose non vanno affatto come preventivato e la donna, incinta di due mesi, si ritrova nella casa di quest'ultimo, ospite indesiderato della sua famiglia.
Gli autori ci danno così l'opportunità di vedere come vive quella parte della società che non appartiene all'elite governativa di Gilead, una classe sociale che nel libro della Atwood trova solo un piccolo spazio ed è rappresentata dai lavoratori comuni o dalle guardie che, con i loro figli e le loro mogli chiamate Economogli, vivono una vita comunque più apprezzabile di quella delle Ancelle.
La famiglia di Omar è molto simile a quella di June, è impossibile non notare le somiglianze, lui è di colore, lei è bianca ed hanno un figlio che potrebbe avere la stessa età della sua Hannah e mentre Omar lavora per la resistenza e nasconde il suo piccolo segreto sotto alle doghe del letto, un Corano ed un tappeto da preghiera, sua moglie è una donna chiaramente ben inserita nel regime del sospetto in cui vive ed educata a guardare con diffidenza peccatrici come June, alla quale si rivolge dicendole di non sapere come possa accettare di dare via il suo bambino quando lei morirebbe, piuttosto che farlo.
Nel romanzo le Ecomogli vengono descritte come una moltitudine di donne dagli "abiti a strisce rosse, blu, verdi, dozzinali e miseri", che le contrassegnano come le compagne degli uomini più poveri, ma nella serie che ha fatto dell'uso del colore e della fotografia la sua firma distintiva, sono invece rappresentate dal piatto colore grigio dei poveri vestiti che indossano, perse in un animato che contrasta apertamente con il rosso scarlatto degli abiti delle Ancelle.
E sarà proprio di questo anonimato che June approfitterà quando deciderà di fuggire da casa di Omar, dopo ore trascorse ad aspettare il suo ritorno dalle celebrazioni religiose a cui tutti sono obbligati a partecipare. Indossando un abito della moglie di lui, June riuscirà infatti a raggiungere la pista di atterraggio dove incontra il pilota che la attende per fuggire in Canada, ma proprio quando è ad un passo dalla salvezza ed ha deciso di scegliere la libertà, abbandonando il sogno di salvare la piccola Hannah e portarla con sé, il Cessna viene fermato dalle guardie, il pilota giustiziato sul posto e June strappata dal suo nascondiglio proprio quando era ad un passo dalla salvezza.
Non sfugga allo spettatore l'allegoria di quella tremenda immagine finale, con June strappata dalla pancia di quell'aereo come un un bambino che abbandona la sicurezza del ventre materno durante il parto, in uno show come questo, che del concetto di maternità ha fatto il suo cavallo di battaglia, è impossibile non cogliere il riferimento; la protagonista, in quegli ultimi momenti della scena finale, nasce per la terza volta.
Dopo essere stata June Osborne e Difred, chi diventerà quando tornerà nella mani di Gilead?

La seconda stagione di The Handmaid's Tale va in onda negli Stati Uniti ogni mercoledì su Hulu, mentre in Italia gli episodi inediti sono trasmessi ogni giovedì, a sole 24 ore dalla première americana, in esclusiva su TIMVision.

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