The Handmaid's Tale 2x01 "June" e 2x02 "Unwomen": la recensione

La nostra recensione del primo e del secondo episodio della seconda stagione di The Handmaid's Tale intitolati June e Unwomen

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Spoiler Alert
La seconda stagione di The Handmaid's Tale ha esordito quest'oggi negli Stati Uniti, su Hulu, con la messa in onda dei primi due episodi, sui 13 previsti, intitolati JuneUnwomen (Nondonne), facendo ripiombare lo spettatore, senza troppi preamboli, nell'orrore rappresentato dalle tinte oscure di questo magnifico dramma che, quest'anno, tra le altre cose, dovrà affrontare la difficile sfida di rispondere alle ormai alte aspettative di un debutto brillante, seguito da premi e riconoscimenti prestigiosi.

Ciò che troviamo interessante di questa stagione, anche per gli amanti dell'omonimo romanzo della Atwood, la quale continua a collaborare al progetto assieme al creatore dello show Bruce Miller, è che sarà per tutti un salto nel buio, poiché riprende proprio da dove il libro finisce, con la sola eccezione dell'epilogo che nel romanzo ci racconta di un paese ormai libero dal regime di Gilead che usa gli scritti della protagonista come spiegazione della salita al potere dei rappresentanti del totalitarismo cristiano, scrivendo quindi indirettamente la parola fine alle sofferenze di June Osborne (Elisabeth Moss) e delle sua sventurate compagne, delle quali, però, non si conoscerà mai il destino.

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Come dicevamo, riprendendo proprio dalla medesima scena con la quale si era conclusa la prima stagione, gli autori non risparmiano nulla al pubblico, facendolo immergere senza mezzi termini e senza filtri nell'orrore vissuto della protagonista, la quale - incinta del figlio dell'Occhio Nick (Max Minghella) - viene caricata su un furgone per una destinazione ignota. Nonostante la rassicurazione di quest'ultimo, sussurratale in un orecchio, Diffred si ritrova poco dopo nelle vestigia di quello che era stato un simbolo del paese nel quale era nata e cioè il Fenway Park, lo storico stadio di baseball della città di Boston considerato alla stregua di un monumento nazionale.

Spinta al centro del campo assieme ad altre Ancelle, con una museruola di pelle sulla bocca ad impedire a tutte di gridare, il più prezioso possedimento di Gilead, le poche donne ancora fertili, vengono raggruppate come animali dirette al macello verso un immenso patibolo che domina il campo da gioco, il tutto accompagnato dallo struggente pezzo This Woman’s Work di Kate Bush. E' inutile dire che né Diffred, né le altre Ancelle verranno uccise e sebbene questo esito fosse prevedibile, la scena in sé non trasmette comunque meno terrore ed impotenza da parte delle protagoniste che la vivono, la cui vita, in questa scellerata società, è tanto preziosa quanto la capacità del loro ventre di procreare e rappresentare così la speranza per l'umanità. Nonostante il loro valore, Gilead ha però delle regole che non possono essere disobbedite ed il rifiuto delle Ancelle di lapidare la loro compagna Janine (Madeline Brewer), colpevole di aver messo a rischio la vita del suo bambino, richiede una punizione esemplare.
Ma le cose per Jane/Diffred sono ormai profondamente cambiate, perché porta in grembo la creatura di proprietà del Comandante Fred Waterford (Joseph Fiennes) e di sua moglie Serena Joy (Yvonne Strahovski) e come tale deve essere protetta, una cosa che la Zia Lydia (Ann Dowd) comincerà a fare da subito, non appena le verrà rivelato il segreto che Jane le teneva nascosto.

The Handmaid's Tale è stata una serie di grande impatto lo scorso anno, ma lo sarà doppiamente in questo in cui movimenti come #MeTooTime's Up sono entrati prepotentemente nella vita politica e sociale americana, diventando quotidiano argomento di conversazione. La differenza tra questa serie ed altre che, negli ultimi mesi, hanno spesso forzato la mano inserendo questo tema in alcune puntate, è che The Handmaid's Tale ha il vantaggio di essere arrivata prima e di poter usare a suo favore ed in maniera molto più organica un soggetto che, sin dal suo esordio, ne ha dominato la narrazione. Un punto di forza che gli autori, ovviamente, non esitano ad usare, pur variando sensibilmente la tematica della stagione che, dall'incertezza su proprio futuro dello scorso anno, ci parla invece di ribellione e resistenza in questa.
La gravidanza, la ragione stessa per cui June è stata tenuta prigioniera, abusata e schiavizzata, diventa infatti in questo caso un punto di forza ed un motivo di ribellione per la protagonista che trova in essa un ulteriore spinta per la resistenza ora che nessuno può farle del male a causa del suo stato.
Poche attrici potrebbero sostenere un ruolo come quello interpretato in questa serie dalla Moss, la quale - grazie soprattutto alla sua espressività - riesce a sopperire senza sforzo alla mancanza di dialoghi con una semplice occhiata ed a sostenere una parte la cui difficoltà è ampliata dall'uso di una regia senza vie di mezzo, che fa un uso continuo e quasi ossessivo di ravvicinatissimi primi piani per poi passare a campi lunghi che regalano spettacolari esempi di fotografia, soprattutto quando colgono nel loro insieme il rosso cremisi degli abiti delle Ancelle.
La sfida insita negli sguardi che June lancia alla Zia Lydia ora che è cosciente del suo potere, è inoltre foriera di uno importante sviluppo nel personaggio principale, la quale si ritrova improvvisamente in un'invidiabile posizione pur avendo come avversaria Gilead, una società pronta a rispondere colpo su colpo per proteggere il suo patrimonio, creando una politica del terrore e del "tutti contro tutti" che tarperà in parte la spinta ribelle di June.

I flashback a cui la serie ci aveva abituato ritornano anche quest'anno, con lo scopo di aggiungere informazioni a ciò che sapevamo del personaggio di Emily (Alexis Bledel), esiliata nel presente nella Colonie, una zona radioattiva in cui farà, tra le altre cose, la conoscenza del nuovo personaggio interpretato da Marisa Tomei.
I flashback continuano quindi a servire allo scopo di narrare, attraverso gli occhi e le esperienze dei protagonisti, la salita al potere dei Figli di Giacobbe, mostrando in maniera storicamente molto accurata come i diversi personaggi non siano coscienti dell'enormità dei cambiamenti di cui sono testimoni, finché per loro non sarà troppo tardi.
Molti sopravvissuti al dilagare del regime Nazista hanno testimoniato nel tempo quando difficile fosse registrare i cambiamenti storici che stavano vivendo o quanto assurdo fosse credere ad alcune delle storie che venivano loro raccontate, fino a che non fu troppo tardi per evitare il peggio, ed è proprio usando questo principio che vediamo June ed Emily venire lentamente private dei più fondamentali diritti senza che queste reagiscano prontamente e riescano a mettersi in salvo, proprio come un animale che venga messo a cuocere in una pentola d'acqua bollente lasciando che si abitui lentamente all'aumentare del calore fino al sopraggiungere della morte.

Tra l'introduzione del mondo ostile e crudele delle Colonie, che non smorza comunque lo spirito ribelle e combattivo di Emily, e la fuga di June organizzata da Nick, la seconda stagione di The Handmaid's Tale esordisce quindi senza deludere, pur avendo il compito di aggiustare il tiro su alcuni aspetti di uno show che continua a dimostrarsi intenso, profondamente coinvolgente, difficile da guardare e, ciò nonostante, quasi impossibile da evitare.
I personaggi maschili della serie, anche in questi primi due episodi, continuano ad essere piuttosto monodimensionali e piatti rispetto a quelli femminili e continua anche a mancare un elemento molto importante presente invece nel romanzo, come quello del razzismo. Nel libro, infatti, viene chiarito molto presto come nel regime di Gilead sia le persone di colore che gli ebrei vengono presto bandite, un tema che potrebbe rivelarsi importante anche nella serie, soprattutto se associato alla storia di Luke Bankole (O. T. Fagbenle) il marito di June, ora esule in Canada.

Nonostante qualche dovuto aggiustamento June e Unwomen non deludono e questo show si conferma uno dei prodotti più significativi e di impatto degli ultimi anni, con la sua capacità di catapultare il pubblico in un orrifico mondo distopico che strizza l'occhio alla nostra realtà, rendendola così, se possibile, persino più spaventosa grazie alla capacità degli autori di disseminare gli episodi di piccoli ed apparentemente insignificanti dettagli, come un DVD impolverato della serie Friends, che ci permettono di riconoscere questo agghiacciante mondo come il nostro.

La seconda stagione di The Handmaid's Tale va in onda negli Stati Uniti ogni mercoledì su Hulu, mentre in Italia gli episodi inediti sono trasmessi ogni giovedì, a sole 24 ore dalla première americana, in esclusiva su TIMVision.

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