The Guilty, la recensione - Articolo del 1 ottobre 2021 - 502477
Remake di The Guilty danese, questa versione tiene fermo il buono dell'originale e migliora tutto a colpi di talento
Una sceneggiatura di ferro come quella di Il colpevole - The Guilty non ci mette molto a fare il salto dalla Danimarca agli Stati Uniti, essere acquistata e rimessa in scena da Hollywood. Specie se c’è Antoine Fuqua in cerca di nuove storie di polizia da raccontare, se c’è Jake Gyllenhaal in cerca di ruoli probanti e Nic Pizzolatto ha del tempo libero per adattare un soggetto non suo.
Nell’originale l’assunzione di responsabilità era una questione cruciale, perché uno dei valori cruciali in Danimarca è la correttezza e la civiltà, il potersi dire un membro produttivo della comunità che non agisce per sé ma fa il meglio per gli altri. La versione americana da subito insiste più sulla fatica del lavoro e la frustrazione del poliziotto. È Fuqua e la sua grande epica delle forze dell’ordine tra corruzione, cattivi caratteri e aspirazione per il meglio. Ci sarà la sottotrama del processo che deve subire con relativa purificazione etica, ma qua il protagonista qua non vede l’ora di tornare in azione e questa storia finalmente è un modo per fare il poliziotto davvero, per “proteggere”, essere polizia, sentire la tensione, assumersi la responsabilità.
In tutto questo c’è Jake Gyllenhaal che anima con grande dinamismo e tensione la sceneggiatura (molto meglio di Jakob Cedergran nell’originale), molto più vario, appassionante e capace di calamitare lo spettatore su inquadrature sempre uguali e di raccontare l'azione che non vediamo. Questo anche perché palleggia spesso con partner eccezionali. Tra le varie voci con cui interagisce infatti ci sono ad esempio Ethan Hawke e Peter Sarsgaard.
Solo un dettaglio lascia perplessi e fa arrabbiare. Fuqua, in un paio di occasioni, sembra non fidarsi di sé e degli spettatori e visualizza le telefonate, cioè ci fa vedere quello che viene descritto. L’espediente è mostrare quel che il protagonista immagina ma il punto è che rompe il meccanismo della nostra immaginazione. The Guilty e un film nello stile di Locke, in cui l’azione è forte ed è tutta nella nostra testa, è in un altrove che non c’è, è costruita a parole e con le voci dei coinvolti. Mostrare qualche immagine oltre che inutile (un fanale, sbiandito, un van fermo sul margine dell’autostrada) è una rottura del patto che regge il film, una dichiarazione d’impotenza senza senso. Non affossa il film, ma fa un po’ arrabbiare.
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