The Girl With The Needle, la recensione | Cannes 77
È così maldestro e mal scritto The Girl With The Needle che finisce dove probabilmente non voleva andare: nel moralmente aberrante
La recensione di The Girl With The Needle, il film di Magnus Van Horn, in concorso al festival di Cannes
Le armonie potenti che di solito si usano per annunciare l’arrivo del dramma mortale in The Girl With The Needle sottolineano momenti di transizione, scene che non hanno nulla di particolarmente drammatico. È quel mondo lì a essere mostruoso, e del resto delle persone, quando si spegne la luce, continuiamo a vedere gli occhi, come puntini luminosi nel buio di creature che abitano il buio e attendono di predare. Così quando il marito della protagonista (sola al mondo e al lavoro in una fabbrica) torna dalla guerra con il volto deturpato e una maschera/protesi per nasconderlo non suona strano che sembri disumano e spaventoso. È un mostro della prima guerra mondiale (uno dei due che la ragazza incontrerà) con sindrome da stress post-traumatico che nessuno gli potrà diagnosticare.
Per dare un senso al titolo ci sono molti aghi (siringhe per placare i demoni, aghi da cucito per abortire, aghi per cucire in fabbrica) in questo film che finge di avere uno stile usando il suo bianco e nero e quelle musiche a contrasto, ma in realtà non lo ha. Nessuna delle sue scelte ha la coerenza che serve per creare uno stile, nessuna ha un senso o arricchisce ciò che viene raccontato. È l’imitazione o la parvenza di uno stile, in uno dei film più vuoti di questo festival, talmente maldestro da risultare anche moralmente aberrante. Le ragioni per le quali le madri si liberano dei figli non sono mai mostrate, né vengono raccontate le loro storie, in più non si interessano mai di cosa accade a quei bambini, così The Girl With The Needle sposta su di loro (cioè sulle madri) la colpa del destino dei neonati, le dipinge come l’ennesimo mostro di quella società invece di fare il lavoro che ci si aspetterebbe su un tema simile: spiegare, capire e comprendere. Del resto dalla scelta di far scappare la protagonista da un personaggio che è decente fuori e mostro dentro, a uno che è mostro fuori ma decente dentro (perché non è l’apparenza a cui si deve badare!), si capisce il livello terra terra di tutta l’operazione.