The girl on the train, la recensione

The girl on the train, diretto dal regista indiano Ribhu Dasgupta, rimescola gli elementi del genere thriller creando un film goffo, pesante e ripetitivo, che non riesce in alcun modo a convincere e che anzi stanca già dopo pochi minuti di visione.

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The girl on the train, la recensione

È mettendo in campo tutti i possibili cliché del thriller, tra omicidi, incidenti e immancabili plot-twist, che il nuovo adattamento del romanzo The girl on the train di Paula Hawkins (dopo il remake americano di Tate Taylor con Emily Blunt), diretto dal regista indiano Ribhu Dasgupta, rimescola gli elementi del genere creando tuttavia un film goffo, pesante e ripetitivo, che non riesce in alcun modo a convincere e che anzi stanca già dopo pochi minuti di visione.

In questa nuova versione il setting ritorna a Londra ma c’è una variazione sui personaggi e il cast, qui interamente di origine indiana. La protagonista si chiama Mira (Parineeti Chopra) ed è un avvocato di successo sposata con Shekhar (Avinash Tiwary). La loro vita è felice e serena, ma dopo un incidente d’auto Mira, oltre a perdere il bambino che porta in grembo, ha delle complicazioni per cui comincia ad avere frequenti amnesie. Da quel momento tutto va in frantumi: Mira si dà all’alcool, diventa aggressiva e viene lasciata dal marito. Per ricordare i momenti passati, Mira viaggia tutti i giorni sullo stesso treno, e dal finestrino vede costantemente la stessa ragazza, Nusrat (Aditi Rao Hydari), la cui vita apparentemente perfetta le ricorda ciò che ha perduto. Ma niente è come sembra, e la vita di Mira prenderà un piega sempre più oscura.

L’adattamento di Dasgupta è un vero e proprio caos di personaggi, linee temporali e indizi. Tutto, dal più piccolo dei dettagli alle più grandi svolte di trama, sembra infatti essere inutilmente esagerato o gratuitamente complesso: in questo modo, si perde fin da subito il filo della narrazione e ogni tipo di appiglio che lo spettatore può avere nell’identificarsi con i personaggi. L’impressione è quella che The girl on the train abbia voluto puntare in alto per creare un crime ad alta tensione, ma che la sua stessa volontà di sofisticazione abbia reso ancora più chiari i suoi limiti e la sua mancanza di controllo sulla materia narrata.

Dalla pesantezza e la banalità dei dialoghi, costruiti con battute prevedibili e ricorrenti, alla recitazione sempre spinta e declamata degli attori, passando per una colonna sonora dall’effetto posticcio e finto (e tuttavia costantemente presente e a sottolineare ciò che tutto il resto già evidenziava a sua volta), The girl on the train rivela la sua finzione cinematografica in ogni modo, diventando l’involontaria parodia di sé stesso. Tutto nel film sembra infatti smaccatamente costruito, preso di peso da un manuale del genere e messo lì perché deve esserci per principio, non perché la storia ne abbia bisogno. Non proprio un’operazione auspicabile, se a sostenerla non c’è né una riflessione ulteriore sui meccanismi di narrazione, né un qualsiasi tipo di visione autoriale a sorreggerla.

La regia di Dasgupta, sebbene riesca a rendere anche bene le singole scene, ben inquadrate e ben illuminate, sul lungo corso non aiuta in alcun modo la storia che, ostinata in una struttura temporale di flashback e flashforward, risulta appesantita da un’insistenza e una ripetitività assolutamente non necessarie.

Cosa ne dite della nostra recensione di The girl on the train? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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