The Gentlemen, la recensione

Con una cura maniacale per l'abbigliamento e i soliti intrecci The Gentlemen diverte senza essere mai memorabile

Critico e giornalista cinematografico


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Forse Guy Ritchie si sta trasformando in Wes Anderson, o almeno nella sua versione violenta e poliziesca. La maniera in cui con crescente entusiasmo il suo cinema gangster sia passato da intrecci elaborati ad abbigliamenti elaborati tra Lock & Stock, The Snatch, Rocknrolla e ora The Gentlemen somiglia alla maniera in cui Anderson coordina tutto sui suoi set. Solo che Ritchie lo fa con ironia, usa l’abbigliamento come strumento antifrastico: più i personaggi sono ben vestiti, più è probabile che siano boss mafiosi; più sono ridicoli nell’abbigliamento, più sono pericolosi; più sono sobri nel vestire, più è probabile siano miliardari. Tutto con un livello di ricercatezza che a tratti sembra essere il punto stesso del film.

Perché in un film di Guy Ritchie classico, come è questo che ci arriva dritto su Prime Video (c'è Londra, ci sono i gangster e le molte storie che si influenzano involontariamente a vicenda), non si può mai davvero dire che la trama sia il punto. Intrecci elaborati che coinvolgono moltissimi personaggi, quasi tutti sullo stesso piano, erano agli inizi un modo per mettere in scena il montaggio più inventivo dei nostri anni, l’unico in grado di essere strumento di racconto in sé. Poi questi intrecci incredibili sono diventati il pretesto per un divertimento non diverso dal quello di Ocean’s Eleven, il piacere di essere cool e far cose pericolose, gestire la violenza, prosperare tra la vita e la morte da parte di un mucchio di star che sanno di essere tali.

Infine in The Gentlemen questa trama complessa che gira intorno ad un magnate della produzione di cannabis illegale che vorrebbe lasciare il giro ma non sa bene a chi vendere il suo centro di produzione, un uomo che vorrebbe trarre da tutto ciò una sceneggiatura, e una gang che porta solo scompiglio per caso, è una grande distrazione. C’è pochissimo sotto il film e quel poco non lo portano, come sembra volere Ritchie, gli attori.
Charlie Hunnam, Hugh Grant, Matthew McConaughey e Colin Farrell sono tutti impegnati in interpretazioni chiamate a dar senso alle scene. La scrittura non è mai autonoma, sembra sempre reggere la scena all’attore che potrà fare il suo. Ogni tanto accade ed è divertente ma niente di più.

Tuttavia nel campionato difficilissimo in cui sceglie di giocare Guy Ritchie con i suoi film criminali “divertente” non basta. La furia e la foga dei suoi esordi avevano una qualità magnetica che trasportava personaggi e storie nel terreno del memorabile. E se un film di Guy Ritchie non riesce ad avere nulla di memorabile, se non impone le sue stranezze e i suoi personaggi fuori dai canoni ha fallito, non gli rimane nulla se non il piacere rapido della visione. Non ha di certo la sconvolgente rivelazione di una scrittura significativa, non ha la potenza visiva di immagini che rimangono con lo spettatore per mesi, né ancora ha i riferimenti raffinati o le sorprese clamorose.

Forse Guy Ritchie non farà mai un film noioso o un vero fallimento (o almeno non quando è in proprio) ma gli è sempre più difficile centrare quell’equilibrio impossibile sul quale ha scelto di muoversi.

Sei d'accordo con la nostra recensione di The Gentlemen? Scrivicelo nei commenti dopo aver visto il film, dal 4 dicembre disponibile su Amazon Prime Video

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