The Founder, la recensione

La storia di una truffa legale, in un paese che promuove i Founder come Raymond Kroc invece dei creatori come i MacDonald's, ma troppo convenzionale

Critico e giornalista cinematografico


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Dietro il successo dei panini di McDonald’s c’è il sangue dei soci fatti fuori dalla compagnia, la spietata mattanza di azionisti e le tecniche spudorate di presa del potere che necessitano più di un contabile che di un guerriero. Come in Il Petroliere di Paul Thomas Anderson questa è una storia in cui il desiderio di possedere consuma l’umanità, solo più blanda e mainstream, senza quella magnifica e reale scarnificazione, senza l'estrema tensione muscolare che rende tutto più duro, ma anzi con una melliflua calma a normalità.
Uno dei marchi più riconoscibili d’America, tra i pochi a poter giustificare un film ed essere il selling point di una storia (“Come è nato McDonald’s”), è fondato sull’inganno e la truffa, sull’avidità e il senso perverso del successo. E sul suo fascino.

È importante in questo proprio Micheal Keaton. Ha una faccia contemporaneamente rassicurante e pericolosa, ha le sopracciglia inarcate, il volto che in breve diventa un ghigno, il fisico perfetto della persona di cui non bisogna fidarsi. È lui The Founder, non tanto i veri fratelli McDonald’s che hanno avuto tutte le idee indispensabili (le ricette, la catena di montaggio, l’ordine, le regole del franchise…) quanto quest’affarista di bassa lega che ha fondato una certa maniera di fare business a certi livelli, grazie a quel marchio e a quel nome. Quello che The Founder afferma è che il peccato originale che genera la colpa subita dai fratelli è non essere stati davvero capitalisti fino in fondo, aver tentato timidamente di espandersi e massimizzare i profitti. Invece Raymond Kroc venditore di un po’ di tutto (basta che si compri) ha altre idee e lo spirito giusto per trionfare nel sistema americano.

In questo è fondamentale di nuovo il casting, perché Nick Offerman, attore di commedia formidabile noto per Parks & Recreation, con la sua recitazione minimalista, il suo grugno e il fisico duri ma bonaccioni è un perfetto corpo da vessare, onesto americano rigoroso da raggirare, taglio di capelli affidabile a cui soffiare la grande idea della vita.
In The Founder insomma ci sono tutte le figure tipiche del film di truffa in stile La Stangata ma nemmeno l’ombra di quello stile divertito. La marcia di Ray Kroc alla conquista della McDonald’s è più una serie di battaglie e scontri violenti, il mondo degli affari non è un pic-nic, non ci sono cortesie e un impero si fonda sul sangue più che sulle buone idee.

John Lee Hancock tiene il ritmo blando, si innamora di un paio di ruffianerie da script (la rivelazione finale di cosa davvero aveva intrigato Ray Kroc di tutta l’impresa McDonald’s) ma non ha mai la forza di farsi memorabile come l’altro film su un impero fondato sul sangue e il furto visto recentemente in The Social Network, per questo forse non diventa mai unico. Buon film tv di un'era in cui questa definizione non è più un insulto, ma troppo esile e convenzionale per rivaleggiare con le grandi storie reali che il cinema mette in scena, The Founder non vuole scontentare nessuno, non rischia nulla e si limita a raccontare un contenuto invece che piegarne il senso grazie alla propria forma.
Però un coraggio ce l’ha, ed è quello di opporsi alle preferenze del pubblico. Chi mai può stare dalla parte di Ray Kroc? Quello che ha la faccia malefica di Keaton, che non ha avuto nemmeno un’idea (l’unica che non viene dai McDonald’s gliela suggerisce un avvocato) e non si fa scrupoli ad appropriarsi di ciò che non è suo. Mettersi, anche solo parzialmente, ad ammirare la danza di questo squalo degli affari di una volta, tutto scarpe, telefonate e poca borsa è un atto di introspezione del male quasi doveroso.

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