The Fall Guy, la recensione
Poteva essere un gran film su Hollywood dal punto di vista del cinema d'azione, ma The Fall Guy è troppo esile sulla scrittura
La recensione di The Fall Guy, il film con Ryan Gosling ed Emily Blunt nelle sale dal primo maggio
C’è uno stuntman che ha una storia con una regista di seconda unità (quella che si occupa delle scene d’azione) ma che ha un incidente proprio durante uno stunt, e quasi rimane paralizzato. Mesi dopo scopriamo che non ha avuto più il coraggio di tornare sul set e quindi non ha più voluto vedere la regista. Se non è uno stuntman non è niente, non si sente uomo. Lei intanto ha fatto carriera e ora i blockbuster li dirige. Una produttrice scaltra lo inganna facendogli credere che lei lo voglia per uno stunt rischioso e così si reincontrano. In mezzo c’è di più, a partire dall’attore di cui lo stuntman sarebbe la controfigura che è scomparso, una festa, il crimine e un grande complotto.
È comprensibile e anche importante che The Fall Guy viva di stunt e di azione, meno che non riesca a bilanciare questo con tutto il resto. C’è per esempio, come in Effetto notte, la fantasia di poter vivere una vita da film, in cui tutto scorre come nelle sceneggiature, solo che in questo caso è il desiderio di una vita intensa come un blockbuster, ed è uno spunto molto divertente ma mai affrontato davvero, sacrificato come molte altre parti sull’altare di continue spiegazioni e riassunti della trama e dell’intreccio, per un pubblico che evidentemente si pensa non sia molto attento. Ma anche proprio la scrittura delle singole scene è molto debole, e quello che alla fine il film dice proprio sul cinema d’azione non è che sia fatto più dai tecnici che dagli artisti (come gli piacerebbe) ma che anche i più abili e i migliori, anche i più concentrati sull’azione, non la fanno bene se questa non è anche scritta bene.
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