The Eternal Memory, la recensione

Per quanto prenda spunto da un giornalista che ha raccontato e fatto la storia del suo Paese, The Eternal Memory fa della memoria un fatto principalmente emozionale. Senza avere la pretesa di dare un senso razionale alle tragedie (storiche e personali), Alberdi racconta come l’affetto e l’amore a volte riescano ad annullare tutto ciò che li circonda.

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La recensione di The Eternal Memory, al cinema dal 7 dicembre

“La memoria è proibita, ma questo libro è testardo”. È parte della dedica che il giornalista cileno Augusto Góngora ha scritto alla compagna Paulina Urrutia sul suo libro “Chile, la memoria proibita”, e che in una scena di The Eternal Memory Paulina legge a Góngora seduto in poltrona, malato di Alzheimer e ormai incapace di riconoscersi allo specchio. Partendo da questa precisa intenzione di contrasto drammatico e incentrato sull’idea di memoria come urgenza storica (l’impegno di Góngora a denunciare tramite le immagini e poi le parole gli anni della dittatura) e fatto personale, il documentario di Maite Alberdi legge questo concetto con la chiave dell’emotività, spingendo sulla commozione non tanto per la malattia di Góngora quanto per lo struggente amore che lega i due nonostante le infinite difficoltà.

Strutturato come il racconto diaristico della quotidianità della malattia, The Eternal Memory segue Paulina e Augusto nella loro intimità privata, alternando il presente a un passato fatto di immagini di archivio che ricostruiscono ciò che Góngora è stato. La parte di mero biografismo non manca, a partire dal racconto dell’impegno militante del giornalista durante gli anni di Pinochet, quando con Teleanálisis diffondeva clandestinamente le immagini dell’oppressione della dittatura, o quando dal 1990 ha lavorato in tv a programmi culturali, raccontando l’evoluzione storico-culturale del Cile. 

Ciò che però rende il documentario interessante e più specificamente cinematografico è il fatto che Maite Alberdi, prendendo Paulina come la vera protagonista, riesca a fornire un senso ulteriore a ciò che rischiava di essere mera cronistoria o mera osservazione del dolore. The Eternal Memory racconta infatti “la Pauli” come la vera custode dell’identità del marito (il modo in cui lo aiuta ricordare chi è, dove si trova, quali sono i suoi affetti) e dopo una prima parte che sfiora l’edulcorazione romantica, Alberdi ribadisce così tanto questo punto che trasferisce su Paulina anche la responsabilità stessa di dirigere il documentario. 

Che sia stata una scelta non premeditata importa poco, fatto sta che a metà documentario arriva il covid e anche il lockdown, e così Paulina stessa deve piazzare la videocamera - storta, sfocata -  per mandare avanti il film, racconta la malattia con un realismo fino a quel momento taciuti. Attrice di teatro e badante a tempo pieno del marito, Paulina dedica tutta la sua vita al marito e attraverso i discorsi che intrattiene con lui capiamo perfettamente quanto il suo dolore, le sue frustrazioni e le sue paure siano il risvolto della medaglia di un amore tanto profondo.

Per quanto prenda spunto da un giornalista che ha raccontato e fatto la storia del suo Paese, The Eternal Memory fa della memoria un fatto principalmente emozionale. Senza avere la pretesa di dare un senso razionale alle tragedie (storiche e personali), Alberdi racconta come l’affetto e l’amore a volte riescano ad annullare tutto ciò che li circonda.

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