The Equalizer 3 - Senza tregua, la recensione

Approdato in Italia per il grande boss finale, la mafia, The Equalizer 3 rivela la sua natura spirituale e trova un ultimo grande senso

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di The Equalizer 3, il capitolo finale della serie con Denzel Washington in sala dal 30 agosto

O muori nei primi capitoli del tuo franchise o combatti il crimine sufficientemente a lungo per finire a spararti con degli italiani. Lo sa John Wick e ora lo sa anche Robert McCall, ovvero The Equalizer, che al terzo e ultimo capitolo approda in Sicilia. E se esistesse una scala di misurazione dell’italianizzazione di un film americano, una ai cui estremi ci siano da una parte il massimo della macchietta fasulla e dall’altra la perfetta e realistica rappresentazione del nostro paese (una scala che potrebbe essere chiamata “Scala Pepperoni”), The Equalizer 3 - Senza tregua sarebbe sicuramente nella parte dello spettro più vicina al realismo e più lontana dalla cartolina. Questo, è facile immaginarlo, anche grazie alla presenza già in fase di coproduzione del distributore italiano Eagle Pictures.

McCall è finito in Sicilia, lo scopriamo in una prima scena giustamente densa di cadaveri e ammazzamenti, per una missione il cui senso scopriremo alla fine e da cui esce malconcio (lo frega la troppa fiducia nell’innocenza). A rattopparlo sarà un medico locale, Remo Girone, che ascolta l’Opera dalla sua veranda sul mare (-5 punti sulla scala Pepperoni) in un paesino di mare vivo e fatto di vicoli anche brutti e sporchi (+5 punti sulla scala Pepperoni), pieno di attori italiani che non parlano gesticolando (+10 punti sulla scala) in cui raramente c’è il sole e spesso piove e fa freddo (altri 10 punti) e in cui la gente vive ad un passo tranquillo, è affabile e amichevole (-1 punto) e mangia cibo autentico e locale (+5 punti) come il kebab (-60 punti). Tutti sono però vessati dalla mafia (0 punti, l’incrocio perfetto tra finzione e realtà).

Non ci vuole molto a immaginare cosa farà McCall alla mafia che taglieggia i poveri bottegai e terrorizza le vecchine locali. Meno atteso è invece quanto stavolta The Equalizer 3 accetti la sua natura spirituale. La serie appartiene al genere dei vecchi di menare (Neeson aveva 56 anni quando fece Io vi troverò, Stallone 64 quando fece I mercenari, ora Denzel Washington ne ha 68) ma essendo il suo attore protagonista una persona apertamente cristiana, molto devota e vicina ai predicamenti religiosi, più di che giustizia privata (come era il telefilm da cui prende il titolo) in controluce si parla sempre di una salvazione tramite la punizione. Del resto i film più popolari con Denzel Washington funzionano come parabole, non sempre ma spesso e volentieri, e stavolta al centro di tutto c’è un uomo che non sa se definirsi un giusto o no, non sa se la sua vita di violenza lo ponga tra i buoni oppure no. A un certo punto, inevitabilmente, l’onnipotente sarà anche menzionato.

In quel paesino siciliano, nei giorni di riabilitazione in cui McCall vive come italiano tra gli italiani, mangia con loro, ride con loro e viene doppiato come loro, trova una dimensione semplice in cui i bianchi e i neri sono netti e riconoscibili. Infatti in questo film d’azione a lungo non c’è azione ma un uomo che osserva altri esseri umani e vede il bene e il male in loro. The Equalizer 3 a tratti è un film di contemplazione della grazia nelle vite delle persone semplici, nei bambini e nella comunità in senso cristiano cioè un gruppo di persone che si aiutano e sono l’uno il prossimo dell’altro. Poi McCall estrae il machete e carica le pistole.

È lo spiritualismo americano, battista, il Dio dell’antico testamento che trova in quest’uomo violento l’angelo vendicatore (o almeno lui sembra pensarla così), perché nonostante non voglia essere violento come negli altri film, lo stesso capirà che, come in Ezechiele 25:17, lui è la giustizia che cala con furiosissimo sdegno su chi osa avvelenare e distruggere i propri fratelli. Ha imparato il valore della pace e dell’amore degli uni per gli altri, finalmente, e quindi è pronto ad ammazzare tutti per essa. In una scena abbastanza rivelatrice la comunità riunita si fa convertire all’azione contro i mafiosi dalle parole di questo protagonista che in quel momento è come un predicatore americano, capace con la retorica di convertire animi. Tutto abbastanza convenzionale e in fondo non diverso da qualsiasi altro film con giustizieri, solo che il fatto che il protagonista arrivi alla conclusione di dover fare una strage di cattivi dopo lungo meditare rende tutto leggermente più inquietante di quando la stessa cosa avviene su un’onda emotiva o per rispondere a un codice o per soldi.

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