The Divergent Series: Allegiant, la recensione
Il sentore era nell'aria già dal film precedente ma ora, con Allegiant, la saga di Tris tocca il fondo di un barile molto profondo
Questa saga fatta più che altro di indecisione ha cambiato regista dopo il primo episodio e soprattutto sceneggiatori ad ogni nuovo film. Tre team diversi hanno realizzato tre film poco coerenti e sempre peggiori. Mentre il primo si difendeva, ricalcando come poteva Hunger Games ma trovando anche una propria autonomia nell’ambientazione, e il secondo invece era più conservatore, sembrava cioè mirare ad arrivare alla propria fine senza far danni, questo terzo è uno dei peggiori pasticci visti nel cinema americano ad alto budget degli ultimi anni.
Ci sono moltissime trame che convergono o addirittura vengono lanciate in Allegiant. E nessuna funziona.
Non funziona di certo la storia tra Tris e Quattro, la grande passione tutta abbracci e qualche casto bacio. È ovvio che non ci potrà essere nulla di più in questo film dal rating necessariamente basso ma Allegiant sembra sottolinearlo facendo esprimere ai due il desiderio di essere da soli e quando lo sono lasciando che si abbraccino e basta, mettendoli nelle docce nudi e sottolineando come non li vedremo davvero nudi. La tensione tra Shailene Woodley e Theo James poi è praticamente inesistente fin dal primo film.
Non funziona la fantascienza. Già Hunger Games ha iniziato a demistificare l’accuratezza tecnologica, trattando la parte tecnica del futuro al pari di magia, ma qui ogni possibile coerenza è buttata nel cestino. Non solo la scienza è magia, cioè può tutto senza bisogno di avere regole, limiti e un suo funzionamento intellegibile, ma le sue regole vengono riviste ogni minuto a seconda dell’utilità.
Non funziona la nuova trama con il mondo al di fuori della città e il grande ordine planetario, fatto di un nuovo inaffidabile leader politico (l’idea è buona, ma la paternità va ad Hunger Games) e soprattutto non funziona il look del pianeta devastato. Le guerre o l’inquinamento o chissà cosa hanno reso tutto rosso senza particolari conseguenze. Solo Rosso. La fantascienza è soprattutto design e la capacità attraverso la cura visiva di immaginare una dimensione estetica lontana dal nostro oggi che, da sola, comunichi cosa ci è successo. I film sul futuro comunicano tutto con il loro look insomma. Quello di Allegiant è solo un’accozzaglia di luoghi comuni di scenografia, costumi e fotografia degno dei pessimi futuri da periferia di Roma del cinema di genere italiano degli anni ‘80.
Non funziona per nulla infine l’intreccio. Gli sceneggiatori prediligono la rabbia e l’istinto al confronto verbale, in tutti i momenti in cui sarebbe opportuno spiegarsi i personaggi non lo fanno pretendendo o di essere creduti sulla parola o di poter agire con la forza e ottenere quel che serve. Salvo poi, in extremis, dimostrarsi molto svegli, intelligenti e inclini alla dialettica quando serve. Questo giustifica un prorogarsi di inganni e incomprensioni utili a spostare in avanti il finale con il minimo della fatica e il massimo della noia e del distaccamento emotivo.
È dunque indispensabile una fede incrollabile nell’amore per la saga e almeno un paio d’occhi foderati di prosciutto dall’amore per tutto quel che riguarda Tris e soci per digerire il peggior capitolo finale dei franchise contemporanei, titolo che non pensavamo avremmo dovuto riassegnare dopo la fine di Twilight, e che speriamo di non dover fare quando arriverà Ascendant.