The Dirt, la recensione
La storia di uno dei gruppi più estremi della storia del rock in The Dirt trova degna rappresentazione ma solo fino ad un certo punto
Così tanto che anche in un film che ricostruisce la loro carriera prodotto da loro stessi sembrano non esserci stati grandi interventi di ripulitura riguardo le molte voci in circolazione. A differenza infatti di quanto accaduto con Bohemian Rhapsody, che dice molte cose in maniera adulatoria tacendo su altre, The Dirt mira ad accrescere la mitologia dissoluta del gruppo a partire da un inizio folgorante.
Per il regista che viene da Jackass e Nonno Cattivo riprendere questo tipo di storie ed aneddoti dovrebbe essere routine a cui applicare magari un filtro, a cui saper dare un senso, invece oltre a “eravamo giovani, quante ne abbiamo fatte!” non c’è molto altro. Certo la storia dei Motley Crue è ben raccontata, certo la musica è rispettata e molto presente e di certo c’è un senso di dinamica molto ma molto maggiore rispetto ai soliti film biografici (ogni scena accade qualcosa di clamoroso) ma forse una band simile meritava di andare anche più a fondo della rappresentazione degli eccessi seguiti dalla loro fisiologica fine.
Gli aneddoti di prima mano e la carta bianca nell’andare sul pesante riguardo la vita in tour e la distruzione delle relazioni personali sono un merito, ma poi le pacche sulle spalle finali, i buoni sentimenti elargiti come mangime alle galline e la conversione del film (simile in tutto e per tutto a quella del leader del gruppo) non solo ravvedono molto di quel che il film ha osato, ma gli impediscono di affrontare con serietà un qualsiasi discorso, sconfinando nella mansueta autobiografia.