The Deuce: abbiamo visto la prima stagione in anteprima, ecco le nostre impressioni
Non c'è nostalgia nella New York anni '70 dipinta da The Deuce, nuova serie HBO di cui abbiamo visto in anteprima la prima stagione
ATTENZIONE: IL SEGUENTE ARTICOLO È COMPLETAMENTE SPOILER FREE
L'immersione in questa Grande Mela coi pantaloni a zampa e la pistola alla mano non è un tuffo immediato, bensì un acclimatamento graduale che richiede almeno quattro episodi per iniziare a orientarsi nell'affollato intrico di storyline portate sullo schermo da Simon, che già si era dimostrato maestro di coralità con la sua opera più nota, quella The Wire chiusasi ormai da quasi dieci anni e tuttora considerata un caposaldo della scrittura seriale.
A far da corona alla prova di Franco, un variegato cast di scelte azzeccate, che passa dalla giovanissima Dominique Fishback, che dà corpo e anima all'ingenua prostituta Darlene, da Gbenga Akinnagbe (già in The Wire) nel ruolo dell'instabile protettore Larry, da Margarita Levieva nei panni della spregiudicata studentessa Abby, e da tutti gli attori secondari che creano un microcosmo di straordinaria, ineccepibile verosimiglianza. Chi prima, chi dopo, ciascuno viene segnato dalla violenza - fisica o psicologica - di un contesto spietato e percepibilmente marcio, in cui ogni solidarietà sembra essere miraggio e l'unica speranza di sopravvivenza è il più bieco individualismo.
La riflessione più interessante che la serie ci offra è forse veicolata dal personaggio di Candy (Maggie Gyllenhaal, anche co-produttrice della serie), una prostituta senza protettore che ha in programma di fare carriera nel mondo dell'industria pornografica. Quasi immediato è il parallelo tra la dose di finzione necessaria nell'atto sessuale a pagamento e quello ripreso dinnanzi alla macchina da presa: Candy trasla il proprio approccio professionale dalla strada al set, e il racconto coinvolge lo spettatore facendogli ricoprire un ruolo in tutto e per tutto simile al fruitore delle prestazioni della donna.
Il pubblico voyeurista di hitchcockiana memoria è qui testimone degli amplessi come dei cambiamenti sociali, in una ricostruzione storica priva di nostalgia e schietta nella sua brutalità: The Deuce è una serie di corpi sformati, di carni straziate, di membri esposti con la squallida nonchalance di un gesto rodato. La poetica del bello è continuamente vilipesa, tant'è che l'unica vera eccezione, la graziosa Lori, risulta quasi disturbante, complice un'interpretazione svogliata da parte di Emily Meade (già vista in The Leftovers), costruita su una mimica vagamente smorfiosa e purtroppo al di sotto delle prove offerte dai colleghi.
Con questo solo neo, la linfa vitale di The Deuce scorre attraverso i volti dei personaggi prima ancora che attraverso gli eventi di cui diventano protagonisti; anche nei momenti più fiacchi o fumosi di una vicenda comunque, di per sé, piuttosto coinvolgente, le diversissime declinazioni d'umanità che vi vengono rappresentate vibrano di una credibilità che impressiona e conquista, ammantando di vero ogni gesto: dal quotidiano al violento, dal sensuale allo squallido.