The Dark Pictures Anthology: House of Ashes, cronache dal profondo | Recensione

The Dark Pictures Anthology: House of Ashes non stupisce e non innova, ma permette comunque di passare una serata all'insegna dell'orrore

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Raggiunto ormai il terzo episodio della The Dark Pictures Anthology, Supermassive Games dovrebbe aver imparato dai propri errori. Man of Medan e Little Hope, usciti rispettivamente nel 2019 e nel 2020, hanno messo in evidenza tutti i pregi e i difetti di questo progetto.

Per chi non lo sapesse, stiamo parlando di una serie antologica a tema horror che mette i giocatori nei panni di sfortunati personaggi intenti a fare di tutto per non morire. La struttura di gioco è ormai rodata: un gameplay basato su scelte morali e QTE, guidato da una regia cinematografica e avvolgente. Forti dell’esperienza maturata negli scorsi anni, il team divenuto celebre con Until Dawn ha deciso di riprovarci con House of Ashes.

Pubblicata in Italia da BANDAI NAMCO, questa nuova avventura sarà disponibile da domani, 22 ottobre 2021, per PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox e PC. Sarà riuscita a conquistarci, oppure sono ancora molti i difetti che perseguitano questa serie? La risposta, come sempre, nel corso della nostra recensione.

The Dark Pictures Anthology: House of Ashes parte da un presupposto molto interessante: mescolare il presente dell’America con il passato della Mesopotamia. I protagonisti di questo nuovo titolo, infatti, sono cinque soldati dell’esercito degli Stati Uniti, alla ricerca delle armi di distruzione di massa dopo la fine della guerra in Iraq. Durante una missione, i militari precipitano nel sottosuolo, trovandosi di fronte ai residui di una civiltà ormai perduta. Una civiltà la cui fine potrebbe essere stata causata da una nuova razza di creature assetate di sangue.

Nonostante la premessa all’apparenza banale, House of Ashes nasconde molto più di quanto possa sembrare. Il setting scelto dai ragazzi di Supermassive Games è sicuramente interessante e pesca a piene mani da un immaginario realmente esistito. Basti pensare al personaggio di Naram-Sin, sovrano dell’impero Akkad che regnò intorno al 2250 avanti Cristo. Con questo materiale storico di partenza e la possibilità di trattare tematiche come la paura dello straniero e le meccaniche contorte (e distorte) della guerra, il team britannico aveva tutte le possibilità per ottenere un risultato strepitoso. Peccato, però, che le cose non siano andate proprio così.

Il terzo episodio della The Dark Pictures Anthology soffre di una trama interessante solo a tratti, ma che prende il giusto ritmo solo nella seconda metà di gioco. Sino ad allora gli eventi si alternano in modo banale e a tratti persino noioso. La pecca maggiore, inoltre, sono i dialoghi che accompagnano per tutta l’avventura. Nessuno dei cinque personaggi riesce davvero a far presa sul giocatore, che si troverà a odiare alcune loro azioni e che difficilmente empatizzerà con il gruppo. Un vero peccato, dato che il punto di forza di questa tipologia videoludica dovrebbe essere proprio il comparto narrativo. L’anima da “B-Movie con le creature” non riesce a collimare con le premesse che vi abbiamo citato nel paragrafo qui sopra. Persino l’atmosfera in stile H.P. Lovecraft di alcune scene non risulta essere interessante, riconducendo la storia sui più solidi (e banali) binari dell’horror di genere.

Ci sentiamo però di premiare alcuni momenti, che hanno saputo mostrare quello che sarebbe potuto essere House of Ashes. Saltuariamente i personaggi dimostrano di non essere piatti e monodimensionali. Una sensazione che, purtroppo, scema molto rapidamente e che li fa ripiombare nell’abisso dello stereotipo del soldato americano. Ottimo, invece, l’atto finale, che presenta dei colpi di scena davvero inaspettati. Certo, potrebbero non piacere a tutti, ma qui si entra nel campo della soggettività.

L’intera avventura può essere portata a termine in circa cinque ore, ma come sempre invitiamo i giocatori a rivivere l’esperienza almeno un paio di volte, per godere appieno di tutti i bivi narrativi.

Esattamente come Man of Medan e Little Hope, infatti, House of Ashes punta sulle scelte morali gran parte del proprio gameplay. Da questo punto di vista, nel corso delle nostre due partite, abbiamo trovato effettivamente numerose strade alternative, che hanno portato la storia ad evolvere in modi molto differenti. Possiamo quindi affermare che la struttura di gioco continua a funzionare, soprattutto se il titolo viene affrontato in compagnia dei propri amici.

Ancora una volta, infatti, Supermassive Games ha inserito la possibilità di giocare all’intera opera insieme ad altre persone. Nel caso si condivida la storia online, il limite rimane quello di un solo amico. Limite che si estende fino a cinque nel caso le persone siano presenti fisicamente sul divano insieme a voi. Il risultato è comunque una serata di puro intrattenimento, dove le scelte morali sono legate ai vari personaggi e, di conseguenza, ai vari giocatori. Se deciderete di tradire o meno i vostri compagni di ventura, quindi, dipende solo da voi!

Segnaliamo infine la possibilità di affrontare House of Ashes a tre livelli di difficoltà, che vanno a modificare la complessità dei Quick Time Event. Nulla di particolarmente sensazionale, ma ammettiamo di aver apprezzato la scalabilità dell’esperienza offerta dal gioco.

Arriviamo quindi all’aspetto tecnico, che purtroppo non ci ha convinti del tutto. O meglio: che ci ha convinti a metà. Dal punto di vista visivo, il terzo episodio di House of Ashes presenta i modelli dei personaggi riusciti, ma supportati da animazioni a tratti pessime. I soldati si muovono in modo goffo e anche le espressioni facciali presentano occhi vacui e alcune movenze della bocca poco convincenti. Esattamente come nella scrittura, capita talvolta che gli astri si allineino e il risultato sia più che godibile, lasciando uno spiraglio di speranza nei nostri cuori per le opere future del brand. Altalenante anche la qualità delle texture, che brilla nelle rocce che troviamo nel sottosuolo, ma che altre volte lasciano spazio a scenari spogli e davvero brutti da vedere.

Il comparto sonoro mescola un buon doppiaggio, forte delle splendide voci di Francesco Rizzi (Colt di DEATHLOOP) e Alessandro Zurla (Alan Wake), con una soundtrack di medio valore. Le tracce che ci accompagnano nella nostra avventura non sono mai davvero interessanti, ma funzionano e non danno mai la sensazione di essere decontestualizzate. Peccato per qualche bug, che mescola le voci italiane con quelle originali, dando vita a simpatici botta e risposta in due lingue diverse.

Abbiamo giocato ad House of Ashes su PlayStation 5, trovando ben poche feature esclusive. Il DualSense non è minimamente sfruttato e persino il frame rate ha dimostrato qualche incertezza. Ottimi invece i caricamenti, rapidi e immediati come ormai siamo abituati dalle console current-gen. Segnaliamo, infine, la presenza di alcuni bug. Bug come personaggi che si bloccano e file di testo ai quali mancano le traduzioni. Nulla di estremamente grave, ma qualcosa di sicuramente spiacevole.

The Dark Pictures Anthology: House of Ashes

The Dark Pictures Anthology: House of Ashes poteva fare di più. Il lavoro di Supermassive Games non è certo tutto da buttare via e, anzi, risulta perfetto per una serata in compagnia dei propri amici. Le premesse narrative e alcuni buoni momenti durante il gioco lasciano però intravedere un titolo che, se curato diversamente, avrebbe saputo elevare il franchise ben oltre i precedenti episodi. Una scrittura pigra, numerosi problemi tecnici e la mancanza di novità relegano però l’opera del team americano al “more of the same”. E questo, purtroppo, ci ha lasciato un po’ l’amaro in bocca. A questo punto non possiamo fare altro che sperare nel prossimo titolo, anticipato come sempre dal finale di questo capitolo.

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