The Crown 6: la recensione della stagione finale

La stagione finale di The Crown conclude un progetto che sembra aver progressivamente perso di vista i suoi punti di forza

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Spoiler Alert

La recensione della stagione finale della serie The Crown, disponibile su Netflix

Al suo debutto sugli schermi di Netflix, la serie britannica The Crown aveva convinto e conquistato il pubblico e la critica con il suo approccio agli eventi con al centro la famiglia reale all'insegna dell'attenzione per i dettagli nella ricostruzione storica e della sensibilità nei confronti della vita della sovrana, salita al trono ancora ventenne e alle prese con il peso della corona.
Le prime due stagioni con star Claire Foy nel ruolo di Elisabetta II erano riuscite a raggiungere un alto livello tecnico e artistico e, nonostante fosse un progetto di finzione, erano riuscite a catturare quella che molte persone, e royal reporter, consideravano l'essenza della monarchia.
Con lo scorrere del tempo, tuttavia, Peter Morgan e il suo team sembrano essersi allontanati da quelle caratteristiche vincenti per avvicinarsi, fin troppo pericolosamente, a rappresentazioni in stile tabloid e soap opera, fino a un epilogo che lascia interdetti di fronte a un'opportunità andata progressivamente sprecata.
I sei episodi finali dello show, dopo una prima parte che avrebbe quasi certamente portato Mohamed Al Fayed a fare causa alla produzione se fosse stato ancora vivo, offrono a tratti quella qualità che aveva portato al successo la serie, affiancata purtroppo a invenzioni totalmente irrispettose e ingiustificate che celebrano senza alcun dubbio la grandezza di Elisabetta II, denigrando però quasi tutti gli altri membri della sua famiglia.

Una ricostruzione in stile soap opera

I primi quattro episodi dell'ultima stagione della serie The Crown hanno raccontato l'ultimo periodo della vita diella principessa Diana, interpretata comunque con bravura da Elizabeth Debicki.
Il susseguirsi di eventi avvenuti nell'ultima estate della vita dell'amata ex moglie di Carlo assumono tuttavia dei contorni quasi surreali nei momenti in cui si immagina letteralmente quanto accaduto tra lei e Dodi (Khalid Abdalla), in particolare durante la tragica giornata trascorsa a Parigi. Il ritratto del figlio del proprietario di Harrods, Mohamed Al Fayed (Salim Daw), è quello di un uomo profondamente insicuro, succube del padre e incapace di affrontare in modo maturo un confronto con lui, persino disposto a sposare Diana, che nella versione fittizia della serie conosce da un periodo di tempo relativamente breve, solo per ottenere l'agognata approvazione del genitore.
Il confronto tra Diana e Dodi quando l'imprenditore fa la sua proposta di matrimonio è tristemente irrispettoso e, invece che ottenere l'effetto drammatico forse agognato, fa scivolare quasi nel ridicolo l'interazione tra i due personaggi.
La successiva scelta presa da Morgan di mostrare lo spirito di Diana con cui conversano la Regina, interpretata con una certa sensibilità da Imelda Staunton, e Carlo, un Dominic West piuttosto convincente, non può che dividere le opinioni degli spettatori con la sua carica emotiva non gestita nel migliore dei modi.
La puntata dedicata alle conseguenze della morte della principessa, provando a immaginare la reazione dei figli e quanto non trapelato dalle mura protette di Balmoral, sembra un passo indietro piuttosto netto rispetto a quanto mostrato nel film The Queen - La regina. L'immagine fin troppo edulcorata e santificata di Diana proposta nei quattro episodi, tra conferenze stampa mai esistite in cui viene aggredita da giornalisti e una quasi gelosia nei confronti della festa di compleanno di Camilla (Olivia Williams), sposta inesorabilmente l'attenzione verso una ricostruzione della realtà di cui è difficile individuare dei possibili punti di contatto con quanto accaduto.
Lasciare libero sfogo alla fantasia, come diventa poi evidente nella seconda parte della stagione, rischia tristemente di perdere di vista il rispetto che si dovrebbe dimostrare nei confronti di persone coinvolte direttamente con una morte così tragica, il cui impatto personale e sociale è evidente e inevitabile.

Una parte finale che spreca molte occasioni

Le sei puntate conclusive della serie suscitano la sensazione di essere di fronte a un'occasione sprecata per addentrarsi nell'umanità delle figure pubbliche, scivolando purtroppo nel territorio del sensazionalismo dei tabloid britannici. Tra ricostruzioni fantasiose e un epilogo sospeso tra la celebrazione e una critica diretta alla famiglia reale, The Crown appare incapace di offrire un ritratto ricco di sfumature degli eventi e delle persone che si vorrebbero rappresentare.
Del principe Carlo non si approfondisce mai il lavoro compiuto per sostenere la corona e le realtà, benefiche e professionali, di cui è patrono. Dominic West si ritrova così a dover interpretare semplicemente un uomo di mezza età che non riesce a relazionarsi in modo adeguato con i figli, pone la sua relazione con Camilla al centro della propria esistenza, e soffre per la mancanza di un potere che sa di essere destinato a non ricevere fino a quando la madre sarà in vita. La visita compiuta in Canada con i figli è mostrata solo per criticare l'intrusione della stampa e gettare le basi per la storia di William, e le interazioni davvero limitate con gli altri membri della famiglia isolano la sua figura, sempre più unidimensionale nel corso delle puntate.
La speranza di trovare un approccio più sensibile e realistico nella rappresentazione della storia di William (Ed McVey) e Harry (Luther Ford) svanisce molto rapidamente rendendosi conto che gli sceneggiatori hanno posto i due fratelli in opposizione, creando a ogni svolta contrasti e incomprensioni. La serie, nemmeno troppo velatamente, suggerisce che la vicinanza di William con i nonni, figure in grado di condurlo sulla retta via nei momenti di difficoltà, e la sua sensibilità lo abbiano reso forse maggiormente adatto a sostenere il peso della corona, avendo fatto tesoro degli insegnamenti ricevuti osservando Elisabetta e Filippo.
Con Camilla relegata a una presenza prevalentemente telefonica e senza alcuna reale interazione con gli altri protagonisti, gli autori potevano sfruttare nel migliore dei modi l'entrata in scena di Catherine Middleton (Meg Bellamy) per offrire spunti di riflessione su quanto essere un erede al trono abbia delle conseguenze emotive personali e sulle persone che si amano fin dalla giovane età, oltre a delineare una storia d'amore moderna e rilevante. Lo show guidato da Peter Morgan ha purtroppo preso la decisione di concedersi molte libertà creative, riducendo la relazione tra i due giovani a una scalata sociale decisa dalla madre della ragazza fin dalla giovane età e portata avanti in modo calcolato più vicino a quello di una fan ambiziosa e al limite dello stalkeraggio, arrivando persino a sabotare le precedenti relazioni della figlia.
Oltre a proporre una storia che, purtroppo, molti considerano vera senza ricordarsi della natura del progetto, The Crown alimenta una narrazione che, nella vita reale, ha visto una ventenne diventare oggetto di una pressione sociale e mediatica con pochi paragoni che l'ha portata a essere seguita costantemente dai paparazzi, giudicata per il tempo trascorso senza ricevere una proposta di matrimonio, analizzata sotto ogni possibile aspetto e sminuita senza quasi alcuna considerazione per le proprie capacità e personalità. Dare spazio a come Kate abbia sopportato cartelloni sugli autobus in cui si ironizzava sulla sua situazione sentimentale o gli insulti ricevuti dai fotografi pur di ottenerne una reazione da immortalare e vendere scatti a peso d'oro avrebbe permesso di offrire una visione più profonda e attuale della rappresentazione delle donne nei media e ritrovare il filo di una narrazione seriale che ha avuto i suoi momenti migliori proprio nel mostrare personaggi femminili che hanno affrontato le conseguenze di un sistema che sta cercando di rimanere ancorato al passato rivolgendo lo sguardo al futuro. Limitare Kate a una fangirl che ritaglia le foto del suo futuro marito ricalca invece tristemente l'approccio dei tabloid che disumanizzano i membri della famiglia reale, in particolare le donne, per ridurli a fonti di scoop e gossip. La storia di un'amicizia che si trasforma in amore, basato su interessi in comune e un feeling profondo, e supera i limiti delle gerarchie sociali e gli ostacoli sarebbe stato più accurato e stimolante, offrendo un approccio più contemporaneo a come indossare una corona, o attendere il proprio turno per farlo, sia impegnativo e possa far soffrire in silenzio più di quanto si possa pensare dall'esterno.

Un episodio in grado di ricordare il valore della serie

Con i figli di Elisabetta e Filippo ridotti a comparse, una Regina Madre trasformata quasi in una caricatura e un principe Filippo (Jonathan Pryce) messo da parte e elevato a guida morale mostrandone raramente l'ironia e i modi diretti che lo avevano spesso messo anche nei guai, un ritratto di Tony Blair (Bertie Carvel) che rimane molti passi indietro per quanto riguarda l'accuratezza storica rispetto a quanto accaduto nelle prime stagioni, la serie ritorna al suo vecchio splendore nella puntata dedicata al declino fisico della principessa Margaret. Il talento innegabile di Lesley Manville e i flashback ambientati al termine della seconda guerra mondiale, con le sorelle che per una sera vivono esperienze "normali", riescono a trasformare la puntata intitolata Ritz in una parentesi malinconica e al tempo stesso gioiosa, in perfetto equilibrio tra l'esuberanza giovanile e i rimpianti della terza età, in grado di dare profondità al legame tra le due sorelle e di mantenere la carica drammatica della distanza creatasi a causa dell'ascesa al trono di Elisabetta. Imelda Staunton e Lesley offrono una performance convincente ed emozionante delle due sorelle legate da un affetto sincero, nonostante le differenze evidenti.

Un epilogo poco memorabile

L'episodio conclusivo a tratti raggiunge quel livello, pur rendendo evidente che è stata Claire Foy a incarnare nel migliore dei modi le caratteristiche che hanno fatto amare e rispettare in tutto il mondo Elisabetta II, con la sua capacità di portare sullo schermo la dignità, la fierezza e il senso di abnegazione che la sovrana ha dimostrato fino alla sua morte.L'intera puntata, in cui Filippo e la moglie si ritrovano a pensare alla propria morte, poteva concludere la serie in bellezza, riportando The Crown sulla giusta traiettoria. La sceneggiatura mescola però troppi elementi narrativi, tra cui un improbabile dilemma interiore, facendo inesorabilmente diminuire l'impatto emotivo della riflessione, obbligata e necessaria, sulla mortalità e sulla propria eredità.
L'uso delle precedenti interpreti di Elisabetta II, Claire Foy e Olivia Colman, hanno poi l'effetto quasi controproducente di ricordare come nelle prime stagioni Peter Morgan e il suo team di autori fossero stati in grado di portare sullo schermo una rappresentazione certamente inventata, ma plausibile e ricca di sfumature, di Elisabetta II. The Crown dice invece addio ai suoi spettatori con una stagione incerta, incostante e fin troppo spesso deludente, eccessivamente attenta ai problemi e agli scandali. Peter Morgan, con le ultime puntate in cui non manca un intero episodio in cui la Regina cerca di capire come rendere moderna la monarchia senza tuttavia compiere cambiamenti significativi, affida a Filippo la sua convinzione che dopo Elisabetta II non ci sarà più nessuno in grado di raccoglierne l'eredità. Il dialogo tra i due coniugi arriva però al termine di due stagioni in cui la narrazione si è fermata alla superficie, provando solo nella battute finali a ridare il giusto valore alla storia della Regina.
La sequenza finale, più che un omaggio all'incredibile regno di Elisabetta II, diventa quindi una chiusura necessaria per un progetto, seppur sempre visivamente curato e interpretato con impegno dall'intero cast, che avrebbe forse dovuto chiudere i battenti prima di offrire la stessa visione della monarchia priva di chiaroscuri offerta abitualmente tra le pagine e sugli schermi.

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