The Crown (seconda stagione): la recensione
The Crown si conferma nella seconda stagione, e lo fa distinguendosi da qualunque altra serie in onda al momento
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Siamo abituati a considerare le serie Netflix come dei lunghi film da dieci o tredici ore, secondo le circostanze. Questo perché ci piace pensare a delle lunghe storie che avanzano secondo i loro tempi e raccontano un percorso compiuto. The Crown è completamente diversa. Questi dieci episodi somigliano a dieci film condensati in un'ora. Tale è la forza e la portata delle storie narrate di volta in volta, e la diversa ambientazione temporale fa il resto. Dunque una seconda stagione che conferma con decisione l'approccio della prima, costruendo puntate molto episodiche che pongono una questione, ne raccontano lo svolgimento e quindi pervengono ad una sorta di conclusione. Questo modo di porsi, che a primo sguardo fa tanto tv vecchia, qui viene plasmato per costruire qualcosa di immenso valore.
O se lo fa utilizza la colonna sonora di Hans Zimmer (tema principale) e Rupert Gregson-Williams, un'ispirazione e un supporto fondamentale per i momenti più enfatici in cui si sposa con un montaggio di alto valore. The Crown riesce a fare propria la Storia, quella con la s maiuscola, e a consegnarla senza mai far trapelare un intento pedagogico o didascalico, ma sovrapponendovi una dignitosissima drammatizzazione degli eventi reali. Il resto vien da sé, e qui torniamo a quanto detto all'inizio. Il lavoro sulla ricostruzione, i costumi, la messa in scena, la fotografia è incantevole. Claire Foy per ovvi motivi spicca nel cast, ma ognuno, da Vanessa Kirby a Matt Smith, sa prendersi il proprio posto al momento giusto lasciando sempre trapelare una personalità profonda che trabocca rispetto ai limiti dell'etichetta di palazzo.
La regia è sublime. Nel primo episodio un'inquadratura di spalle sulla regina, senza mostrarne il viso, basta a raccontarci la sua lontananza dal confronto in cui dovrebbe essere impegnata. E comunque, anche ad inquadrarle il viso, sappiamo che nulla trasparirebbe dei suoi dolori personali. Dunque c'è sempre questa idea per cui il valore dell'istituzione è superiore alla persona in cui si incarna di volta in volta. In questo, The Crown è anche una lezione di politica alta, che restituisce valore e rispetto alla sacralità dei ruoli istituzionali – che rimangono cosa diversa dalle singole persone – e che riveste di grande importanza i gesti e le parole, soprattutto quelle non dette. Quel rigido autocontrollo che sfocia nella punizione e nella costante autoprivazione. Infine, non vi è nessuna differenza tra il maggiordomo Stevens di Quel che resta del giorno e i regnanti della Casa Windsor. Si tratta di servitori che sacrificano parte della loro umanità scomparendo tra le pieghe del ruolo, condannandosi ad un'infelicità soffocata in un sorriso.