The Crown (stagione 5): la recensione
La stagione 5 della serie The Crown arriva sugli schermi di Netflix dopo molte polemiche, non del tutto ingiustificate
La recensione della stagione 5 di The Crown, disponibile dal 9 novembre su Netflix
La natura del progetto, che non ha mai sostenuto di essere di genere documentario, non impedisce tuttavia di porsi delle domande e spingere a una riflessione riguardante i confini delle libertà che ci si può concedere nel rappresentare eventi realmente accaduti, in particolare se coinvolgono persone che hanno un ruolo importante all'interno delle istituzioni internazionali. Fino a che punto è lecito rappresentare situazioni verosimili legate alla dimensione privata dei membri della famiglia reale senza che questo influenzi l'opinione pubblica o trasmetta un'immagine totalmente non corrispondente alla realtà? La serie di Peter Morgan propone infatti il ritratto di una famiglia segnata da incomprensioni, tradimenti, lealtà, ribellione e, in particolare in questo capitolo della storia, impegnata nella continua ricerca di un equilibrio tra tradizione e necessità di rinnovamento.
I momenti difficili della famiglia reale, tra annus horribilis all'ombra dell'abdicazione
Nel ripercorrere gli anni più tumultuosi e complessi della famiglia reale britannica ottiene quindi così un importante ruolo metaforico il Britannia, panfilo varato nell'aprile del 1953 e ritirato dal servizio nel 1997, dopo la vittoria del partito Laburista che ha cambiato le carte in tavola dal punto di vista politico nel Regno Unito. Il legame sentimentale provato nei confronti della nave da parte di Elisabetta assume le caratteristiche di un contenitore di tradizione, l'immagine di una realtà ormai superata dall'esteriorità splendente e dagli interni in decadimento, e un tentativo fallito di aggiustare una struttura fatiscente.
The Crown, con una struttura circolare, getta le basi per una sesta stagione in cui si darà spazio alla tragica morte della principessa Diana, seguendo la fine del suo matrimonio con Carlo, i cambiamenti in corso nel legame tra Elisabetta e Filippo, i problemi sentimentali di Andrea e Anna, il riavvicinamento di Margaret alla sorella, e la situazione complicata di William, la cui spensieratezza come teenager viene messa in ombra dalle responsabilità che sente, fin da adolescente, nei confronti non solo della madre. La serie Netflix, inoltre, introduce la famiglia Al Fayed, mostrando il tentativo di Mohamed di scalare le gerarchie sociali e le difficoltà di Dodi nel trovare la propria strada e allontanarsi dall'ombra ingombrante e oppressiva dal padre.
Tante, forse troppe, libertà
A causare le maggiori perplessità durante la visione della stagione 5 non è la costruzione, sempre ricca di sfumature e coinvolgente, narrativa legata alle riflessioni sul "peso della corona" nella vita dei reali, delle conseguenze di avere un ruolo fin dalla propria nascita che alle volte risulta limitante e spezza le ali ad amori e ambizioni, ma piuttosto la scelta di dare ampio risalto ai problemi sentimentali delle varie coppie tratteggiando situazioni e comportamenti che, per ovvi motivi, sono totalmente frutto dell'immaginazione. Difficile credere realmente che la principessa Anna abbia "puntato" il secondo marito Timothy Laurence mentre si trovava con la madre o abbia sfogato la sua frustrazione nei confronti dell'attenzione non richiesta legata alla sua vita privata come viene mostrato nello show, o che Diana abbia iniziato a fare commenti sul chirurgo Hasnat Khan mentre la sua amica era alle prese con l'angoscia legata all'operazione a cui si era sottoposto da pochi minuti il marito. Altrettanto improbabili risultano poi molte scene con al centro proprio la principessa e Carlo, pre e post divorzio, in cui li si mostra in preda a sentimenti di rabbia, vendicativi, e particolarmente abrasivi. L'intero rapporto tra Filippo e Penny Knatchbull conferma inoltre la poco costruttiva tendenza a portare sugli schermi situazioni più in stile soap opera, ma forse in linea con i desideri di una parte di spettatori che si attendono una narrazione all'insegna di gossip e intrighi, rispetto a una ricostruzione rispettosa e aderente il più possibile ai fatti.
Stagione dopo stagione, The Crown sembra aver provato ad addentrarsi sempre di più nella dimensione basata su ipotesi e supposizioni, mettendo in ombra il buon lavoro compiuto nei primi capitoli della storia per quanto riguarda le ricerche storiche e la cura nei dettagli con passaggi della storia totalmente infondati, come il "complotto" di Carlo per valutare se fosse necessario provare a far abdicare la madre.
Un cast sempre di ottimo livello
Il nuovo cambio "generazionale" permette comunque a The Crown di mantenere alto il livello delle interpretazioni.
Imelda Staunton sa dare a Elisabetta la giusta dose di stoicità e malinconia nell'assistere ai tanti problemi all'interno della famiglia, e la sua performance dà forza alla versione della sovrana all'insegna di una persona che mantiene dignità, contegno e dedizione mentre gli eventi esterni provano a scalfirla e l'opinione pubblica inizia ad attaccare duramente lei e il suo ruolo nella società britannica. Jonathan Pryce infonde a Filippo un buon mix di empatia e voglia di vivere e innovare che si scontrano con i limiti dell'età e del suo ruolo. Lesley Manville dà a Margaret una maggiore maturità e una straziante consapevolezza di quella che avrebbe potuto essere la sua vita se non fosse stata la sorella della regina.
Dominic West si ritrova alle prese con un ritratto del principe Carlo particolarmente combattuto e moderno, alimentato da idee innovative e dal tentativo di trovare il proprio ruolo e scopo nella società e nella famiglia. L'attore gestisce bene gli aspetti della storia legati alle difficoltà nel trovare un equilibrio tra passato e presente e anche la rappresentazione del legame con Camilla Parker Bowles è comunque all'insegna di un'empatia, naturalezza e persino senso dell'umorismo che allontanano Carlo dal ruolo di "villain" all'interno del suo matrimonio con Diana.
Elizabeth Debicki, invece, delude in parte a causa dell'eccessiva imitazione di gesti ed espressioni che risultano quasi caricaturali e non necessari a raccontare il dramma di una donna e madre che si ritrova al centro di una situazione senza paragoni. L'attrice fa quel che può nel dare le giuste sfumature alle sue scene che, tuttavia, appaiono fin troppo marcate e sopra le righe, trovando forse i momenti più interessanti negli attimi in cui la principessa cerca di riappropriarsi di una quotidianità che le è stata a lungo negata.
Olivia Williams propone poi una versione di Camilla che fa emergere le caratteristiche che hanno conquistato Carlo, dal senso dell'umorismo alla cultura ampia e alimentata da una curiosità e interesse evidenti. L'attrice non esita nemmeno a mostrare la determinazione con cui Camilla riesce a sopportare l'attenzione dei media, affidandosi alle persone giuste nei momenti di maggiore incertezza.
Senan West, il figlio di Dominic West, compie un esordio convincente nella parte del giovane William, alle prese con le conseguenze delle tensioni tra i genitori, e i passaggi della storia che lo vedono protagonista accanto a Imelda Staunton sono forse tra i più riusciti nel portare sullo schermo l'immagine di una famiglia il più possibile "normale", grazie a un rapporto tra nonna e nipote all'insegna dell'affetto e della complicità. Dispiace, invece, lo spazio limitato dato a Marcia Warren nella parte della Regina Madre, presenza il cui potenziale viene costantemente "sprecato" senza mai trovare il giusto spazio all'interno della narrazione.
Claudia Harrison, invece, delude un po' nella sua performance nei panni della principessa Anna, smussandone fin troppo i lati più taglienti del carattere, e James Murray non lascia il segno nelle scene in cui appare nel ruolo di Andrea.
Sam Woolf non ha molto materiale per dimostrare la sua bravura, considerando che il principe Edoardo non causa scandali o problemi.
Tra le new entry non si può non citare Natascha McElhone nel ruolo di Penny, nonostante un ruolo "strumentale" per far avanzare la narrazione dei protagonisti, ma poco approfondito, mentre Salim Daw convince con il suo Mohamed al-Fayed ambizioso e determinato a fare tutto il possibile pur di ottenere il posto nella società che pensa di meritare. Al suo fianco Khalid Abdalla porta in vita un Dodi fin troppo sottomesso. Poca tridimensionalità anche per il giornalista Martin Bashir che Prasanna Puwanarajah interpreta con passione nella sua corsa per ottenere lo scoop, ma pochi sentimenti, il contrario rispetto al ritratto di Hasnat Khan affidato a Humayun Saeed, fin troppo emotivo e quasi al limite dell'ingenuità nel suo avvicinarsi a Diana e al mondo della principessa.
Una sceneggiatura tra alti e bassi
Il lavoro compiuto da Peter Morgan in veste di sceneggiatore appare, purtroppo, discontinuo nel corso della stagione. Spaziando tra tematiche importanti e passaggi che sembrano tratti dagli articoli dei tabloid di seconda categoria, il creatore di The Crown macchia la sua serie con scelte discutibili. La capacità di riportare il rapporto tra Carlo e Camilla su una dimensione meno stereotipata, l'interessante rappresentazione del desiderio di rivalsa di Al Fayed, l'evoluzione dei legami tra i protagonisti e alcuni passaggi maggiormente all'insegna della ricostruzione storica riescono ancora a convincere, ma a deludere c'è la deriva delle scene sopra le righe e "immaginate", essendo ambientate in una dimensione privata a cui nessuno, tranne i diretti interessati, possono accedere.
La decisione di parlare nuovamente della controversa decisione di Diana di rilasciare un'intervista alla BBC basandosi, a sua insaputa, su informazioni false nonostante le ripetute richieste del principe William di non riportare sugli schermi le dichiarazioni della madre, o l'ideazione, a fine drammatici, di momenti come quelli in cui Carlo agisce alle spalle della sua famiglia denotano poi un atteggiamento che sfiora la mancanza di rispetto nei confronti delle persone coinvolte.
The Crown non perde mai la sua capacità di coinvolgere e intrattenere con una formula di successo che si basa sul conflitto tra immagine pubblica e privata, tuttavia dopo cinque annate ci si potrebbe forse aspettare di più e il coraggio di non assecondare le potenziali richieste del pubblico e non enfatizzare aspetti che sicuramente attirano l'attenzione e fanno parlare del progetto, ma ne intacca la qualità.