The Conjuring - Il Caso Enfield, la recensione

Dopo il successo di Fast & Furious 7, The Conjuring - Il Caso Enfield consacra James Wan come maestro del cinema horror, in attesa della sua incursione nel mondo DC Comics

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Quando ti ritrovi ad aver creato una delle saghe horror più popolari di sempre, Saw – L'Enigmista, ad aver diretto una bella manciata di film horror (Insidious 1 e 2, The Conjuring - L'Evocazione) che, a fronte dei “due spiccioli” di budget sono riusciti a generare giri d'affari da centinaia di milioni di dollari nonché spin-off altrettanto redditizi, è pacifico, normale che finisci per ritrovarti al centro dell'attenzione. Specie se poi, nel lasso di tempo che passa dal giorno in cui hai affermato “Ho chiuso con l'horror” hai anche deciso di metterti dietro alla macchina da presa di quello che – per tragiche cause di forza maggiore – è diventato il capitolo di Fast & Furious più ostico da girare.

E anche il più ricco al box office worldwide.

Ma James Wan, colui che insieme al produttore Jason Blum può essere considerato come il moderno maestro del “cinema di paura”, è un tizio pragmatico, è consapevole di quanto sia alta la posta in gioco. Probabilmente deve tutto alla sua indole allegra, ridanciana, così differente dalle pellicole che dirige: si focalizza solo ed esclusivamente sul suo cinema e non sulle chiacchiere che fanno da corollario, andando ad affinare uno stile, un approccio verso il filmmaking che diventa di volta in volta sempre più appassionante.

Magnetico.

Capace di intrappolare lo spettatore conducendolo gradualmente attraverso inquietanti meandri oscuri in cui lo spavento non viene costruito con il banale effettaccio a sorpresa condito da una esplosione di decibel, ma con una mossa chiamata costruzione della tensione. Che, per carità, non disdegna un sano aumento della portata acustica del tutto, ma mai fine a sé stesso.

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The Conjuring 2 – Il Caso Enfield è, da questo punto di vista, il trionfo assoluto del regista malese naturalizzato australiano, il suo zenith. Ogni elemento della pellicola, le anguste location domestische che trasformano un sobborgo londinese in un angolo d'inferno sulla Terra, le performance degli attori, le inquietanti note partorite dal compositore Joseph Bishara che si permette l'abituale comparsata nella pellicola sotto il terrificante make up del demone (specialisti del genere fate attenzione: oltre a Bishara verrete anche “deliziati” dalla presenza – scusate il gioco di parole – dello specialista Javier Botet...), le dannatissime facce che osservano... Già perché nonostante il paradosso del tener testa alle altissime aspettative generate dal dover partorire il sequel di uno degli horror di maggior successo di sempre, James Wan ha potuto procedere a briglia sciolta,
probabilmente ricevendo la proverbiale “carta bianca” dalla Warner. Se il primo episodio aveva come sostanziale e unico difetto quello di essere troppo manierista, il perfetto, impeccabile compito del primo della classe nell'aula del professor Friedkin, con Il Caso Enfield tutte le ossessioni tipiche del cinema del regista, dal legame familiare messo a dura prova, al make-up tanto gotico quanto barocco, l'importanza della fede per i protagonisti e le raggelanti tracking shot capaci di mettere a dura prova i nervi dello spettatore vengono mescolate insieme creando una somma di fattori che consegna ai nostri occhi un lungometraggio decisamente superiore a quello con la prima indagine dei coniugi Warren.

Molto saggia l'idea di non proseguire il racconto di Lorraine e Ed Warren con l'ennesima trasposizione della storia di Amytiville, cronologicamente anteriore a quella di Enfield. Solo un accenno iniziale, impiegato per comunicare allo spettatore come il maligno non abbia sotterrato l'ascia di guerra contro i due e per intrecciare – a distanza – la loro “tragedia” familiare con quella di mamma Hodgson e della sua prole tormentata da un poltergeist con intenzioni ben poco amichevoli. Il risultato è un prologo che si traduce in un quarto d'ora di cinema che che ci scaraventa ex abrupto in una stanza degli orrori di cui è stata buttata la chiave. Siamo incatenati alla sedia come i protagonisti del primo Saw.

Siamo tutti vittime di Jigsaw Wan.

Anche in questa occasione – come già avvenuto nel 2013 – il “basato su fatti realmente accaduti” è un pretesto, il cardine impiegato da Wan e dal co-sceneggiatore Carey Hayes per raccontare l'incrollabile fede degli Warren, sicuri come sempre che se la tenebra esiste e ci spaventa c'è anche la luce a darci una mano: in questo senso non si assisteva dai tempi di Signs a un discorso così marcato su un argomento quasi “demodé” come questo in un blockbuster a base di tensione & spavento. Chiaramente l'andare a ricercare su Google le evidenze a favore di chi ritiene che le sorelle di Enfield abbiano architettato tutto magari per accelerare il passaggio in una council house o di chi è convinto che qualcosa di bizzarro sia effettivamente accaduto nel borough londinese fa parte del gioco che molti spettatori metteranno in atto prima o dopo aver visto il film. La stessa Warner ha pubblicato online un inquietante featurette contenente il vero audio della “bambina posseduta” - e peraltro su Youtube la registrazione d'epoca è presente anche in versione integrale.

Insomma, fa tutto parte della piacevole suggestione di un fatto di cronaca oltre i confini del “What if...?”.

Ma come già accennato in precedenza non è il dato giornalistico quello a cui dobbiamo dare importanza.

È il dato artistico.

The Conjuring 2 – Il Caso Enfield è il film della vera e propria maturità artistica per Wan, quello più compatto, coerente, in una certa maniera anche ipertrofico per come ripropone svariate situazioni colpendo però lo spettatore in maniera diversa ogni singola volta. Non c'è più quello stacco che, a mio modo di vedere, affliggeva immancabilmente il terzo atto del primo Insidious, nonostante il filmmaker utilizzi fondamentalmente tutti i suoi celeberrimi marchi di fabbrica. Qua tutto è dosato adeguatamente per ben due ore abbondanti, una durata quasi spiazzante per un film dell'orrore, il terrore accompagnerà continuamente lo spettatore e non sobbalzeremo mai dalla poltroncina per un "trucco" già usato qualche minuto prima e il senso d'inquietudine continuerà a tenerci per mano anche una volta usciti dal buio della sala cinematografica. Wan pare dire “Siete venuti a vedere un horror movie? Volevate essere spaventati? Ecco, fate attenzione a ciò che desiderate”. Onore al merito anche per Patrick Wilson e Vera Farmiga: le loro performance nei panni di una donna e un uomo capaci uniti da un amore reciproco grande anche più della loro fede sono di una tenerezza unica.

E rappresentano l'unica ancora di salvezza nella tortuosa discesa nei meandri più oscuri del grande cinema dell'orrore.

The Conjuring 2

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