The Circle, la recensione
Una storia di finzione che sembra verissima, The Circle fonde le internet company che conosciamo per una storia che ricorda la fantascienza distopica
The Circle è una compagnia che ha l’etica di Google, un padrone-guru come Apple e sviluppa una tecnologia social con ramificazioni in tanti ambiti diversi come Facebook. Emma Watson è una ragazza insoddisfatta dal proprio lavoro che riesce ad accedere a un colloquio con loro, evento già di per sé ambitissimo; sarà presa e entrerà nell’immensa famiglia di The Circle da una posizione bassa. A farci sentire l’odore di distopia da subito sono una sede fantastica piena di verde e pulizia e un capo carismatico (interpretato con gran scelta di casting dal sempre affabile Tom Hanks) che tiene piccoli keynote idealisti ogni settimana, momenti in cui comunica ai suoi impiegati come le tecnologie che stanno sviluppando possono avere applicazioni idealiste e cambiare il mondo.
Accadrà che Emma Watson nell’aderire a un progetto di The Circle di “totale trasparenza”, per il quale tutte le sue mail diventano pubbliche e indossa una videocamera accesa costantemente, diventerà un personaggio mediatico e, a sorpresa, uno che funziona molto. Come in Hunger Games, in questo film ambientato oggi che gradualmente diventa di fantascienza entra a gamba tesa l’idea che ci siano dei corpi, dei volti e delle persone (specie se donne) che interessano il pubblico, che attirano lo sguardo e le teste, e questo crea infiniti problemi e avidità. La rappresentazione di sé è come l’oro, crea bramosia e c’è sempre un’istituzione che vuole usare quel corpo. La maniera meno banale di riflettere sull’era della rappresentazione di sé in cui essere “veri” e trasparenti è un falso valore.
In mezzo alla storia poi entrerà il pentito, uno degli ideatori del software originale che si è tirato fuori da tutto una volta capito l’andazzo (John Boyega che sembra imitare Denzel Washington) e in più il finale non sarà necessariamente il più prevedibile, nonostante in mezzo The Circle faccia l’uso più banale di ottime idee. Il modello qui è palesemente Black Mirror, quel modo di mettere in scena l’uso e poi l’abuso paradossale di una tecnologia che riconosciamo benché un po’ più avanzata delle nostre, tuttavia The Circle ha di autonomo un certo livore nei confronti di questo idealismo di facciata, cioè dei buoni propositi per veicolare tecnologie che in realtà fanno altro, che è contagioso oltre che la parte più originale di un film di cui non si può non pensare che la parte migliore sia il romanzo da cui è tratto.