The Casual Vacancy: la recensione

La recensione di The Casual Vacancy, la miniserie della BBC tratta dal romanzo di J.K. Rowling

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And was Jerusalem builded here/among these dark satanic mills?

Sono i versi di William Blake quelli che ascoltiamo nel corso della cerimonia funebre del consigliere di Pagford Barry Fairbrother, prematuramente stroncato da un aneurisma all'inizio dei suoi quarant'anni. In queste parole, rilette alla luce del contenuto della miniserie, si trova lo slancio verso il bene e l'illusione del benessere, costruita sulle fondamenta d'argilla dei vizi dell'umanità e sulla corruzione dei rapporti umani, di un male che ormai è radicato nella terra e nelle sue costruzioni e che non lascia speranza di riscatto. Per chi, come chi scrive, The Casual Vacancy è un'esperienza del tutto inedita e non anticipata dalla lettura del romanzo di J.K. Rowling, ciò che colpisce nel corso della visione delle tre puntate di cui si compone la miniserie della BBC è proprio questo senso di sconforto assoluto, l'impossibilità di ritrovare un equilibrio forse mai esistito. Una parabola, purtroppo anche qualitativa, discendente.

Gli abitanti di Pagford sono falsi quasi quanto la città in cui abitano. L'inesistente Pagford, centro apparentemente idilliaco della campagna inglese, una perla in mezzo alla distesa dei prati, percorsa da freschi ruscelli, ovunque ornata da fiori, riscaldata dal calore dei mattoni che raccolgono dolcemente la luce del sole. Un paradiso in netto contrasto con quella che poteva essere una rappresentazione simbolica di questi luoghi. Broadchurch lo aveva fatto, The Killing lo aveva fatto: l'ambiente come specchio del malessere vissuto dalle persone che vengono raccontate. The Casual Vacancy, diretto da Johnny Campbell (prima stagione di In the Flesh) su sceneggiatura di Sarah Phelps, sceglie invece la strada opposta dello straniante contrasto tra apparenza e realtà, tra una rigida rappresentazione dei costumi che nasconde tutta l'indifferenza e la mediocrità incarnata dalla middle class.

Ed è una scelta doppiamente vincente. Intanto perché ci fa godere della vista di paesaggi splendidi immortalati con cura, e poi perché ha davvero un senso in questo racconto di segreti e prevaricazioni. Tutto parte dalla morte improvvisa del consigliere Barry Fairbrother (Rory Kinnear), non un uomo qualunque, ma probabilmente l'unica persona davvero degna in questa cittadina. Il suo "seggio vacante", decisivo per una decisione sul riutilizzo di una struttura per fini più lucrativi o sociali, diventa il terreno di scontro della successiva campagna elettorale nella quale si fronteggiano tre candidati, uno peggiore dell'altro. E qui, per chiarire il precedente riferimento a Broadchurch, diciamo che la morte del consigliere ha un effetto domino sull'intera comunità, rilasciando una serie di tensioni accumulate e celate fino a quel momento, toccando dei nervi scoperti che porteranno alle conclusioni più tragiche.

È uno schema già visto, che qui segue linee guida diverse. L'evento tragico che fa saltare il coperchio. The Casual Vacancy è un giallo senza colpevole, un omicidio senza assassino, nel quale la vittima – non a caso l'unica persona davvero buona di Pagford – paga simbolicamente l'indifferenza e il male che si annidano in tutti i ceti, in tutte le fasce d'età, in tutte le manifestazioni sociali. Attraverso una serie di collegamenti non facilmente comprensibili, almeno in un primo momento, seguiamo la vita di una ventina di protagonisti, ora davanti allo schermo, ora sullo sfondo. Impossibile sintetizzare qui tutte le storyline. L'elezione è un pretesto, lo è fin da subito, tant'è che il momento dello scrutinio non è nemmeno raccontato con particolare enfasi e non costituisce affatto il climax della vicenda. Ci sarà qualcos'altro da raccontare, il pegno finale di una comunità che nonostante la tragedia non ha appreso la lezione, non ha imparato dai propri errori, e che richiederà un nuovo sacrificio in cui – con forza tanto narrativa quanto simbolica – sarà la stessa terra a reclamare una vita.

Senza circolarità, senza ritorno ad un equilibrio, senza riscatto attraverso la morale. The Casual Vacancy non risparmia nessuno, e quei pochi – caratteristica è la loro diversa appartenenza etnica, non dovrebbe essere una semplice coincidenza – che risultano intoccati danno solo la sensazione di essere sfiorati da una scrittura che, se solo avesse approfondito un po' di più, avrebbe trovato del marcio anche in loro. La sottile ironia sui meccanismi burocratici e la corruzione del potere erano caratteristiche che si ritrovavano anche nella saga di Harry Potter, ma lì era possibile individuare delle figure "guardiane", magari nelle posizioni più insospettabili. Qui il guardiano – che in una delle prime scene parlerà proprio di "missione" – muore dopo mezz'ora, ed è difficile capire chi mai potrebbe raccoglierne il testimone.

Questo per quanto riguarda il tema centrale e lo stile della serie, che peraltro si avvale anche di un cast di tutto rispetto (Michael Gambon il nome più noto, ma la vera sorpresa è Abigail Lawrie). La narrazione, purtroppo, non è all'altezza delle pretese. Tre ore complessive risultano troppo poche per poter condensare un intero microuniverso e una ventina di personaggi. Ne consegue che le storyline – nonostante un primo episodio davvero promettente – non sono mai davvero incisive come dovrebbero e vorrebbero essere, ma si riducono a finestre aperte su semplici e frettolosi riassunti, vetrine abbozzate su caratteri macchiettistici. Forse l'intenzione era proprio quella di raccontare delle figure tipiche, delle caricature, ma in questo modo ne soffre l'interesse per una vicenda che – dato per scontato il pretesto dell'elezione – proprio su queste figure doveva invece concentrarsi.

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