The Carrie Diaries: la recensione del pilot

Come si dice nel gergo "haters gonna hate", ma The Carrie Diaries è fatto bene: è equilibrato, ha ritmo, ha identità...

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Oggettivamente ragazzi, l'idea di fare un prequel di Sex & the City è pura follia.

Riuscire a tirar fuori un teenage drama per ragazzine in preda a crisi adolescenziali post-Gossip Girl per The CW da un prodotto HBO per donne allupate di mezza età non è pura follia: è fantascienza.

Vogliamo davvero pensare che dopo aver visto la giovane donna Carrie fare carriera, portarsi a letto una buona fetta dei finti-giovani di Manhattan riuscendo a scampare miracolosamente a una sconfinata varietà di malattie veneree, averla vista condurre la sua vita lagnandosi sulle solite domande esistenziali battute sulla tastiera di un pc pleistocenico, dopo editoriali e libri pubblicati, articoli su Vanity Fair, Vogue, Io Donna e quant'altro, dopo 6 stagioni, 94 episodi e due film osceni (purtroppo non al box office)... Insomma, vogliamo davvero pensare che la gente voglia saperne ancora qualcosa di Carrie?

Evidentemente qualcuno a Hollywood ha pensato che sì, avessimo ancora voglia di sentir parlare di Carrie Bradshaw. Questo qualcuno a Hollywood non ci ha azzeccato in pieno, ma ha fatto bene i compiti a casa. Con una premiere che ha di poco superato il milione e mezzo di spettatori (ma solo 0.6 il punteggio commerciale) il risultato di debutto non è esaltante, ma il pilota di The Carrie Diaries è tutt'altro che sbagliato.

Carrie è una ragazza che ha recentemente perso la madre. Come per tutti a questa età la vita al liceo è un inferno, ma per fortuna ci sono alcuni punti fissi: il padre e la sorella, a cui è legata dai recenti tragici eventi, e i migliori amici Walt, Jill e Maggie. Tra i corridoi bisogna scampare alle tre temibili zoccolone che dettano legge (una delle quali somiglia terribilmente a una giovane Victoria di Revenge) a cui Mean Girls ci ha abituato e sopravvivere alle difficoltà amorose con il nuovo belloccio della scuola Sebastian. Da un lato la vita non potrebbe essere più provinciale e ordinaria, dall'altro si presenta per Carrie un'opportunità unica: un'esperienza di lavoro a Manhattan una volta a settimana. New York ha una personalità tutta sua ed è popolata da creature bizzarre che offrono un nuovo sguardo sul mondo a cui Carrie è abituata, ed è qui che inizia l'avventura e Carrie si troverà probabilmente ad affrontare diverse problematiche che la aiuteranno a "trovare la propria voce".

Come si dice nel gergo "haters gonna hate", ma The Carrie Diaries è fatto bene: è equilibrato, ha ritmo, ha identità. E' un prodotto a sé stante, capace di reggersi sulle proprie gambe, un teen drama che prende spunto da alcuni ingredienti narrativi e visivi della fonte di ispirazione che l'ha partorito per reinventarsi in una formula nuova e indipendente. I personaggi sono delineati, vari, il giusto numero. AnnaSophia Robb ha l'entusiasmo vanesio di Sarah Jessica Parker per la moda quanto l'impaccio adolescenziale di una giovane (e brava) Lindsay Lohan. Il pilot tocca gli argomenti giusti in maniera appropriata, lo fa con delicatezza e prelude senza indulgenza a quelli che saranno i temi principi della prima stagione.

Per alcuni aspetti ricorda Gossip Girl (Josh Schwartz e Stephanie Savage non a caso produttori), per altri Una mamma per amica. Ora, The Carrie Diaries non è certo materiale da Oscar, però l'episodio pilota prelude a un teen drama di qualità ben studiato e ben prodotto, che è più di quanto si possa dire della maggior parte delle serie che attualmente affollano i palinsesti statunitensi.

Ma soprattutto: The Carrie Diaries sarebbe potuto andare male in una quantità di modi, scelte e scale di grandezza da sopraffarre chiunque. Il fatto che il pilot dimostri che sono state prese le scelte giuste è un'impresa più grande di quella che si potrebbe sospettare.

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