The Call, la recensione
Assurdo, sgangherato e comunque elegantissimo, il film sudcoreano di Netflix The Call è una delle sorprese horror dell’anno
Immaginiamo che sia un modo per alzare le mani e arrendersi da parte di chi si occupa di mettere i tag su Netflix, e che guardando The Call (guarda il trailer) ha cambiato idea almeno quattro volte nella prima ora: il film dell’esordiente Lee Chung-hyun ci mette parecchio a decidere esattamente che cosa vuole essere, e finché non lo fa si diverte a spiazzare e a sperimentare con generi e linguaggi. A conti fatti, “horror” è probabilmente il termine più adatto, ma arrivarci richiede un giro su uno dei lunapark più assurdi e opulenti del 2020.
LEGGI: #Alive, la recensione
Se avete visto anche solo due o tre film sui viaggi nel tempo nella vostra vita, e in particolare se conoscete la versione Ritorno al futuro nella quale cambiare il passato ha effetto anche sul presente, avrete già capito dove The Call andrà a parare: Young-sook, che telefona da prima della morte del padre di Seo-yeon, può salvargli la vita, e regalare alla ragazza un passato (e quindi un presente) diversi.
“Dove sta l’horror?” vi chiederete giustamente voi. Sta in quello che di fatto è uno studio sui personaggi prima ancora che una storia di viaggi nel tempo: il padre risorto di Seo-yeon è solo il primo tassello del rapporto tra lei e Young-sook, che vive sottomessa a una matrigna convinta che la ffigliastra sia posseduta e che ogni sera cerca di esorcizzarla con metodi più o meno violenti (tendenzialmente più). Il fatto che Seo-yeon abbia un debito con Young-sook e che quest’ultima viva da reclusa nel terrore della matrigna arrivano presto a cozzare, ed è qui che The Call accelera e comincia a sperimentare e a prendersi dei grossi rischi.
Stiamo parlando di un film che si pone non solo la classica domanda da viaggio nel tempo “è possibile cambiare il futuro alterando il passato?”, ma anche il suo contrario, “è possibile cambiare il passato conoscendo il futuro?”. E su questo dualismo continua a giocare, ad aggiungere pezzi, a far succedere cose a Seo-yeon nel presente (o è il futuro?) e a Young-sook nel passato (o è il presente?), mentre tutto intorno ai due centri di gravità il film comincia lentamente a sgretolarsi, gli ambienti perfetti asettici e simmetrici a decadere e marcire, fino a che, una volta che effettivamente succede quello che il film fa capire che prima o poi succederà, The Call prende definitivamente una direzione e abbandona ogni divagazione e ogni dettaglio superfluo.
È qui che ci fermiamo perché dovremmo cominciare a parlare di violenza (abbiamo detto che è un horror), e sarebbe un peccato rivelarne l’origine o svelare qualcosa di quello che succede nel terzo, allucinante atto del film. Sappiate che se del cinema coreano apprezzate la capacità di passare dalla poesia alle cascate di sangue nel giro di due scene senza battere ciglio, amerete The Call e la sua sfacciataggine; e se al contrario certi eccessi – in questo caso anche di CGI, di sospensione dell’incredulità e di fiducia nella capacità del pubblico di ignorare i crateri logici della sceneggiatura – vi tirano a forza fuori dal film, l’esordio di Lee Chung-hyun potrebbe lasciarvi freddi. Per quanto ci riguarda, abbracciamo volentieri la follia.