The Cage - Nella gabbia, la recensione
Con le attrici e la concentrazione giuste ma non sempre la scrittura giusta, The Cage riesce a essere un film di combattimento sufficiente
La recensione di The Cage - Nella gabbia, il film di Massimiliano Zanin con Aurora Giovinazzo in uscita il 22 febbraio
Nella trama la sua carriera ha subito un arresto per via di una sconfitta molto dura che l’ha traumatizzata. Al momento dell’incontro non sapeva di essere incinta e i colpi subiti hanno causato un aborto. Da quel momento il compagno, molto religioso, si è rivolto alla parrocchia per un aiuto spirituale, coinvolgendo anche lei e proibendole di tornare a combattere. Ma la forza della lotta dentro di lei è tale da spingerla anche clandestinamente a tornare ad allenarsi. A questo punto la storia procede su due binari: da una parte l’allenamento e i tentativi di combattere di nuovo con l’atleta che la sconfisse così duramente, dall’altra liberarsi dal giogo di un uomo possessivo a sua volta posseduto dalla Chiesa.
Se qualcosa salva The Cage (parzialmente) è una regia che limita i danni e, con crescente proprietà di linguaggio filmico al procedere del film, riprende le scene di MMA con il piglio giusto. Non così giusto, non così centrato e non così coinvolgente da colmare i buchi di credibilità dati da Valeria Solarino (allenatrice fuori parte) o da momenti non proprio riusciti come un finale tra nudità e belva feroce, ma almeno è chiaro che un principio sacro del cinema di combattimento è rispettato: è un cinema di corpi. E il corpo di Aurora Giovinazzo non solo è scelto bene (come detto se esiste il film è perché esiste lei nel cinema italiano) ma anche quello di Desirée Popper, più slanciato, più asciutto e più spigoloso, le si oppone perfettamente. Quando si scontrano purtroppo non c’è una grande narrazione interna all’incontro (ed è un peccato perché in La belva Claudia De Angelis aveva mostrato di sapere molto bene che l’azione va gonfiata da fatti, eventi e svolte che avvengono nel suo svolgersi e sono da essa raccontati) ma almeno c’è il sapore della tensione e della violenza animale che sublima qualcos’altro.