The Burial, la recensione

Tra sviolinate ad accentuare il pathos e monologhi che puntano esclusivamente a scaldare il cuore e a risvegliare gli animi, The Burial è un warm-hearted movie volutamente medio negli esiti, la cui promettente scrittura dell’intreccio non va mai oltre lo stereotipo di quel tipo di cinema.

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La recensione di The Burial, disponibile su Prime Video dal 13 ottobre

Ispirato ad eventi realmente accaduti in Mississippi a metà degli anni novanta, The Burial di Maggie Betts è un più che classico film hollywoodiano di giustizia sociale: uno di quelli dove chi discrimina ed è grande e cattivo (vedi: una multinazionale che lucra sulla comunità afroamericana) se la vede brutta davanti al grande cuore di individui “nati per cambiare il mondo” e che - va da sé - diventano amici per la vita nonostante i pregiudizi. Tra sviolinate ad accentuare il pathos e monologhi che puntano esclusivamente a scaldare il cuore e a risvegliare gli animi, The Burial è un warm-hearted movie volutamente medio negli esiti, la cui promettente scrittura dell’intreccio non va mai oltre lo stereotipo di quel tipo di cinema.

La storia è piuttosto interessante perché si tratta di un puro procedural (con pochi extra fuori dall’aula, per costruire i personaggi) sull’inusuale argomento della giustizia contrattuale nel caso specifico delle lobby delle imprese funebri, ma che a sua volte si intreccia con il tema della discriminazione degli afroamericani. Quando infatti Jeremiah (Tommy Lee Jones), un anziano impresario di pompe funebri del Mississippi, vede la sua prosperosa azienda minacciata dall’assicurazione, decide a malincuore di venderne parte a un magnate canadese. Questa acquisizione si rivela però subito raggirevole e così essendo lo Stato della causa (il Mississippi) a prevalenza afroamericana, Jeremiah assume come avvocato Willie Gary (Jamie Foxx). Willie è un avvocato per casi di lesioni personali e ha sempre difeso clienti afroamericani: la causa di Jeremiah sarà quindi speciale in molti sensi e metterà Willie alla prova su un terreno che, per quanto contrattuale, avrà tutta la sostanza di un caso sui diritti civili.

Avvolto da una patina di melensa positività e cullato dall’idea della superiorità morale di chi lotta correndo grandi rischi (rifiutando comodi compromessi), The Burial dà il meglio di sé nel suo intreccio. L’aspetto più coinvolgente di questo film scritto da Betts stessa, Doug Wright e Jonathan Harr è infatti il modo in cui l’azione legale si dispiega, inserendo imprevisti e personaggi ambigui in un percorso che, fino a un buon punto, non prende mai vie prevedibili.

Questa prevedibilità, di contro, si riversa tutta nei toni e nei personaggi. Mettendo da parte l’ottima prova attoriale di Jamie Foxx, il suo personaggio così come quello di Tommy Lee Jones non va mai oltre la superficie e/o lo stereotipo del più datato buddy movie. La cosa più frustrante è però la scrittura dell’avvocatessa della difesa: interpretata da Jurnee Smollett, l’avvocatessa afroamericana difende una lobby di magnati bianchi mostrando un’ostinazione e una combattività che, tuttavia, non rivela mai il difficile dualismo morale che il film vorrebbe comunicare e a cui prova a sopperire con un paio di dialoghi fuori dall’aula.

Un film che stimola molto più per i temi che solleva che per i suoi esiti specifici.

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