The Bridge (prima stagione): la recensione

Promossa la prima stagione della serie, che dopo un inizio lento e confusionario ha conciliato bene thriller e drama

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FX
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Su quel ponte che dà il titolo alla serie di FX sembra che The Bridge vi abbia sostato per tutta la propria durata, incerto sulla strada da seguire. E non che su quel braccio di strada che separa gli Stati Uniti dal Messico, un mondo da un altro, non sia accaduto nulla di rilevante, tutt'altro: killer, vendette private, terribili lutti. Tuttavia ciò che sorprende è come ogni cosa si sia svolta all'ombra di quanti, più o meno silenziosi, attendevano alla fine di quel ponte di potersi incrociare con i protagonisti della serie. Questa è la prima stagione di The Bridge: il tragico preludio ad una storia molto più grande che, a patto di un ritmo decisamente peculiare e, per certi versi, straniante, ci ha mostrato il percorso comune di due protagonisti che su quel ponte hanno imparato a camminare insieme, l'uno aspettando l'altro.

FoxCrime_The Bridge_Kruger Bichir  (1)

Appunto, il ritmo narrativo. Perché ciò che prima di tutto colpisce di questo remake della serie scandinava Bron è senza dubbio una narrazione spezzata, che muove da un singolo episodio, quello del ritrovamento di due corpi a metà al confine tra States e Messico, per andare a costruire una serie di storyline concettualmente affini ma rigidamente, o quasi, separate l'una dall'altra. Fin da subito il minimo comun denominatore nella caccia ad un killer, nei loschi affari di una vedova legati al traffico degli immigrati, nella difficile opera di assistenza sociale, viene individuato nell'opprimente ambientazione da confine ultimo della civiltà, da barriera invisibile, fatta di fucili spianati e indifferenza malcelata, contro una realtà tremendamente vicina e terribilmente lontana (sì, in più un momento la realtà raccontata ci richiama situazioni non troppo distanti da noi).

La natura di poliziesco non viene mai sottaciuta per far spazio alle complicate tematiche della serie, ma a queste si accompagna sistematicamente attraverso gli occhi dei due detective Sonya Cross (Diane Kruger, bravissima nel tratteggiare un personaggio affetto da Asperger) e Marco Ruiz (Demián Bichir, anche lui ottimo nel portare avanti un personaggio che da subito si mostra ricco di spunti e sfaccettature). Dopo alcune puntate spiazzanti e dal ritmo lento nelle quali attendiamo un collegamento che non giunge mai, la vicenda entra nel vivo, la narrazione accelera e prende svolte inaspettate (anche coraggiose nel caso di alcune soluzioni), gli spunti crescono e la serie conquista a pieno la propria promozione.

In tredici puntate il tono della serie si è mosso sul difficile sentiero del thriller poliziesco (dunque non sono mancate scene macabre) unito al tentativo di denuncia sociale, due strade che si sono dimostrate conciliabili, che forse non hanno mai raggiunto punte eccellenti, ma tra le quali il tentativo di sintesi può dirsi riuscito. Al giudizio positivo contribuisce, come detto, soprattutto la seconda parte della stagione, in particolare il finale, o meglio i finali. Nelle sue prime undici puntate The Bridge scala una montagna, e ne raggiunge la vetta in Take the Ride, Pay the Toll, in cui uno degli snodi fondamentali arriva alla fine. Inevitabilmente le ultime due puntate presentano quindi un tono leggermente diverso, non necessariamente più rilassato, ma che sposta la propria tensione verso altri temi e motivazioni.

L'ottimo All about Eva, dodicesimo episodio, rappresenta quindi la conclusione ideale, non perché definitiva, ma perché illuminante nel chiudere il piccolo cerchio nel quale la narrazione si era mossa fino a quel momento ricollegandosi ad uno più grande già aperto in precedenza (l'immagine finale dell'episodio è forte e molto eloquente sul futuro della storia). A questo punto The Crazy Place, season finale, può soltanto rappresentare il trampolino di lancio, una sorta di anteprima di ciò che vedremo nella prossima stagione. Come detto fin da subito, The Bridge ha un ritmo davvero inusuale.

Il prodotto di FX difetta in un inizio di stagione lento e confusionario nel non dare punti di riferimento, in alcune soluzioni estreme che stonano con la natura "impegnata" della serie e in alcune scorciatoie narrative (alcuni personaggi che provvidenzialmente si avvicineranno ad altri). Promosso comunque per l'ottima alchimia ricreata tra personaggi e interpreti principali (funziona anche il sottile e cattivo umorismo legato agli strafalcioni di Sonya), per le atmosfere, per il coraggio di un remake che non è la fotocopia dell'originale (se non altro per le tematiche trattate), per la capacità di conciliare thriller e drama.

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