The Bridge (prima stagione): la recensione
Promossa la prima stagione della serie, che dopo un inizio lento e confusionario ha conciliato bene thriller e drama
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Appunto, il ritmo narrativo. Perché ciò che prima di tutto colpisce di questo remake della serie scandinava Bron è senza dubbio una narrazione spezzata, che muove da un singolo episodio, quello del ritrovamento di due corpi a metà al confine tra States e Messico, per andare a costruire una serie di storyline concettualmente affini ma rigidamente, o quasi, separate l'una dall'altra. Fin da subito il minimo comun denominatore nella caccia ad un killer, nei loschi affari di una vedova legati al traffico degli immigrati, nella difficile opera di assistenza sociale, viene individuato nell'opprimente ambientazione da confine ultimo della civiltà, da barriera invisibile, fatta di fucili spianati e indifferenza malcelata, contro una realtà tremendamente vicina e terribilmente lontana (sì, in più un momento la realtà raccontata ci richiama situazioni non troppo distanti da noi).
In tredici puntate il tono della serie si è mosso sul difficile sentiero del thriller poliziesco (dunque non sono mancate scene macabre) unito al tentativo di denuncia sociale, due strade che si sono dimostrate conciliabili, che forse non hanno mai raggiunto punte eccellenti, ma tra le quali il tentativo di sintesi può dirsi riuscito. Al giudizio positivo contribuisce, come detto, soprattutto la seconda parte della stagione, in particolare il finale, o meglio i finali. Nelle sue prime undici puntate The Bridge scala una montagna, e ne raggiunge la vetta in Take the Ride, Pay the Toll, in cui uno degli snodi fondamentali arriva alla fine. Inevitabilmente le ultime due puntate presentano quindi un tono leggermente diverso, non necessariamente più rilassato, ma che sposta la propria tensione verso altri temi e motivazioni.
Il prodotto di FX difetta in un inizio di stagione lento e confusionario nel non dare punti di riferimento, in alcune soluzioni estreme che stonano con la natura "impegnata" della serie e in alcune scorciatoie narrative (alcuni personaggi che provvidenzialmente si avvicineranno ad altri). Promosso comunque per l'ottima alchimia ricreata tra personaggi e interpreti principali (funziona anche il sottile e cattivo umorismo legato agli strafalcioni di Sonya), per le atmosfere, per il coraggio di un remake che non è la fotocopia dell'originale (se non altro per le tematiche trattate), per la capacità di conciliare thriller e drama.