The Boys 3x08 "Istante rovente": la recensione del finale di stagione

L'ultima puntata della terza stagione di The Boys mantiene tutte le promesse di chiusura degli archi ma ci arriva male e in modi maldestri

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert

La recensione della puntata 3x08 di The Boys dall'8 luglio su Prime Video

Inizia male l’ultima puntata della terza stagione di The Boys, con un tradimento di fiducia da soap di quart’ordine. L’episodio precedente era terminato con Butcher che nonostante il viaggio nei propri ricordi, l’aver rivissuto il trauma familiare e l’impressione che questo lo abbia realmente scosso facendogli risalire domande sul proprio atteggiamento, spinge lo stesso Hughie a prendere il Temp-V. Pensavamo che quell’esperienza l’avesse cambiato invece dentro di lui c’è qualcosa di così storto, ossessivo e malato da non fermarsi nemmeno di fronte alla morte di qualcuno a cui tiene. Ok. Però la puntata 8 inizia con un pugno dato a Hughie a sorpresa, per tramortirlo, così che non lo segua e non prenda il Temp-V. L’esatto contrario. Ci avevano lasciato con un cliffhanger negativo (Hughie morirà????) e adesso ci dicono di averci ingannati solo per un cliffhanger perché “Ma no scherzavamo, vi pare mai?”. Terribile.

Un episodio di padri e figli

Il resto della puntata purtroppo non sarà da meno. Tematicamente segue direttamente la 7, ne è il logico proseguimento per come tira i nodi che erano stati preparati lì. È una puntata di padri e figli in cui subito compare la pedina che mancava per chiudere questo discorso, ovvero il figlio di Patriota (che Butcher tratta come se fosse suo), in più Hughie parla di suo padre, confessando quanto ora capisca la sua forza, e infine il pugno di cui sopra, perché Butcher rivede in Hughie suo fratello a cui avrebbe dovuto fare da padre. Questo è un mondo in cui le madri non esistono, assistiamo ad una storia di soli padri e di dinastie a quanto pare (grande ossessione delle serie tv: le generazioni che si combattono) e lo scontro finale tra Soldatino e Patriota, da che doveva essere uno scontro tra pari, tra due star amate dalle persone che non possono convivere, è diventato un affare di famiglia tra nonno, figlio e nipote, fatto di “Mi hai deluso figliolo”. E anche qui: ok….

Uno scontro finale che determina le dinamiche del potere

Tutti convergeranno nel palazzo della Vought per il grande scontro finale, tutti ma proprio tutti e organizzati in tre poli: Soldatino e Butcher contro Patriota, Patriota; il figlio e la Vought contro questi due; il resto dei Boys più Maeve lì per salvare Butcher da se stesso e riaddormentare Soldatino (perché il gruppo nasce quasi solo per far fuori Patriota, nessuno lo menziona, a nessuno interessa?). Alla fine sarà di nuovo il bambino il deus ex machina di tutto (come nella stagione precedente) e di nuovo ci lasceremo con la promessa che possa giocare un ruolo più rilevante l’anno prossimo in cui, a giudicare dalla chiusura, saranno rilanciati tutti i temi esplorati questa volta, con una corsa alla presidenza fatta di pura violenza, perché ora Patriota ha spostato l’asticella ancora un po’ più in là e ha scoperto che il suo pubblico gli rimane accanto anche quando manifesta violenza brutale contro i loro nemici per un niente. E se c'è da dire che è stata curata molto bene questa transizione, perché capiamo che per la prima volta Patriota si sente accettato, non aveva una vera famiglia, non l'ha trovata nella Vought o nei 7, non l'ha trovata in Soldatino, ma ora la gente lo accetta con suo figlio esattamente per quello che è, senza dover fingere nulla. Non è il massimo, la serie rimanda ancora le sue conclusioni, promette di ripetersi (speriamo di no) e chiude in fretta l’arco narrativo di Soldatino.

L’unica scelta sensata della puntata è quella di ambientare il grande showdown in uno studio televisivo, luogo in cui realmente si determinano le dinamiche di potere, in cui realmente ci si scontra per l’unica cosa che conti (il consolidamento della propria immagine). Lì i super e non super fanno il loro lavoro: si picchiano iperbolicamente. Vediamo crollare il mito dell’invincibilità di Patriota (Maeve gli tiene abbastanza testa con sua sorpresa) e finalmente giunge ad un senso tutta la distruzione e poi ricostruzione del rapporto tra Hughie e Stargirl. Lungo la stagione hanno battibeccato per chi salvi chi a causa del continuo rimodularsi dei rapporti di forza nella coppia, adesso si capisce quale possa essere una vera sintesi, non qualcuno che salva qualcun altro come è stato fino ad ora ma uno che aiuta l’altro ad essere migliore, collaborare, alzarsi la palla per raggiungere un risultato che singolarmente era impensabile.

Gli elementi meno convincenti

A tutto ciò ci si arriva con un po’ di sprezzo del ridicolo e una serie di semplificazioni di scrittura che non rendono onore a quello che invece di complesso la serie è stata capace di costruire in precedenza ma anche solo in questa stagione. L’esempio più clamoroso è la maniera terribile in cui è gestito il Temp-V, un vero e proprio espediente miracoloso che non solo di colpo tradisce i presupposti della serie e risolve tantissimi problemi mettendo alcuni personaggi a livello dei Super (quando la sfida di scrittura che costituisce il fascino del presupposto di questa serie è proprio come faranno persone normali ad abbattere dei Super), ma poi si scopre che è letale solo se preso tre volte. Cioè due dosi=nessuna conseguenza, tre dosi=cancro mortale. Senza vie di mezzo. Non proprio sofisticato. L’impressione è che andando avanti e distaccandosi ormai in modi irreparabili dal fumetto di Warren Ellis, The Boys acquisisca molti dei difetti dei fumetti seriali americani, tra i quali c’è la leggerezza con la quale qualcosa che viene affermato in un numero può essere smentito successivamente, perché l’avanzare della macchina conta molto di più della coerenza e il presente è l’unica dimensione che esiste in scarsa relazione con il passato. Dovessimo scoprire nella prossima stagione che no, Butcher non è destinato a morire perché si può salvare e le tre dosi di Temp-V non sono letali come ci avevano detto, non ci sarebbe troppo da stupirsi.

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