The Boys 2x05 "Ora dobbiamo andare": la recensione
The Boys è sempre più una serie sullo sfruttamento della politica più che sulla politica
C’è un corto circuito importante in questa puntata. Avviene quando Butcher minaccia di mandare le foto che provano l’esistenza del figlio di Patriota a Ronan Farrow, il giornalista figlio di Mia Farrow famoso per aver incastrato Harvey Weinstein e per avere riportato alla ribalta, con successo, le vecchie accuse a Woody Allen. Anche nel mondo di The Boys dunque esiste Weinstein ed è stato incastrato? Sembra una notazione superflua e invece è importante, perché in questa e nella puntata precedente si è parlato di inclusione di tutte le razze, di rappresentazione e del potere della donna, si è parlato cioè delle tensioni che attraversano Hollywood e che sono esplose in maniera definitiva nel dopo Weinstein. E The Boys è l’unica serie che ha compreso che l’argomento da trattare, non è tanto se queste rivendicazioni siano giuste o meno (sono giuste, nessuno potrebbe mai dire il contrario) ma chi le sfrutta per il proprio tornaconto, cavalcandole senza convinzione ma con abilità, cioè Hollywood stessa.
La prima stagione di The Boys, con Elisabeth Shue al centro delle trame della Vought, era un commento sulle politiche aziendali senza pietà, sul capitalismo spinto nell’era dei media. Questa seconda, focalizzata molto di più sui singoli e il loro potere mediatico individuale, parla molto di più dell’uso che viene fatto dell’immagine da parte di chi ne ha una.
Avevamo già visto che forza che sia l’idea che Stormfront, l’elemento ribelle che aizza la folla contro la Vought, sia perfettamente inserita nella Vought, come cioè il dissenso sia una parte importante del mantenimento del potere e del consenso (già l’episodio 1x02 di Black Mirror raccontava esattamente questa idea), questa quinta puntata alza di una tacca il discorso sullo sfruttamento dell’opinione, dando a Stormfront un controllo così facile sul pubblico tramite i meme e confondendo le acque tra il film che stanno girando e realtà. Cioè tra realtà e rappresentazione, che poi è l’anello cruciale del discorso (ciò che rappresentiamo in serie e film quanto deve essere aderente alla realtà? E quanto la influenza?).
Similmente in un altro segmento di video dentro la serie, Abisso gira uno spot per una chiesa simil-scientology. Girato male, scritto anche peggio, pensato per fare propaganda, è perfetto, calcato sullo stile, i toni e i brutti effetti della propaganda e dice tutto quel che dobbiamo sapere sulla doppia morale messa in scampo.
Intanto mentre la banda di Butcher fatica moltissimo a trovare la medesima spinta che aveva nella prima stagione, quando lottavano con un chiaro obiettivo, si nascondevano, uccidevano ed erano sempre al centro dell’azione. Sono spaesati nel racconto e nella messa in scena ma questo non giustifica la maniera prolissa in cui anche il poco che fanno è tirato, allungato e ripetuto di continuo. Non si evolvono, si ripetono. Nemmeno un grande scontro violento riesce a rimetterli sulla giusta strada. Paradossalmente The Boys al momento dà il suo meglio quando i protagonisti sono i villain e assistiamo ad una serie di dialoghi, non d’azione.
Non a caso il climax dell’avvicinamento tra Patriota e Stormfront è la scena che chiude la puntata con clamore. Avevamo capito già nelle precedenti puntate che senza la Madeleine Stillwell di Elisabeth Shue c’era un vuoto, una vacanza sessuale che Patriota ha bisogno di compensare. Tuttavia l’arrivo di Stormfront a colmarla, in quella maniera, con quella foga e con l’intelligenza (e l’esperienza) che sappiamo avere, rende quella scena non la conclusione di qualcosa di costruito ma un cliffhanger per le prossime puntate, un passaggio di una strategia più grande.
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