The Book of Boba Fett 1×07 “In nome dell’onore”: la recensione
Un gran finale di The Book of Boba Fett soddisfacente e ben diretto che non riscatta però le molte incertezze iniziali della serie.
Il finale “dispari” dell’episodio sette intitolato In nome dell’onore fatica quindi a raccogliere anche i pochi frutti delle molte ore passate a intessere alleanze. L'arrivo della cavalleria è piuttosto prevedibile e non giustifica lo sforzo narrativo precedente. Soprattutto si fatica parecchio a vedere gli alleati come qualcosa di più di una semplice carne da macello. Nelle intenzioni della serie invece palesemente avremmo dovuto viverli in altro modo.
Lascia perplessi soprattutto la scelta di Grogu. Non poteva non esserci in un episodio che tira le fila riunendo la gran parte dei personaggi visti fino ad ora. Però la decisione di seguire il mandaloriano abbandonando la scuola Jedi indebolisce moltissimo il potenziale futuro del personaggio. Sembra un tradimento di quanto visto nelle due stagioni di The Mandalorian. Straccia tutte le emozioni provate nell’episodio precedente con quello sguardo di affetto regalato da lontano a quel “bambino” che Djarin sente come un figlio. Tutti si ricongiungono, felici e contenti, ma che senso ha avuto allora commuoversi per un distacco durato non più di una puntata?
Fortunatamente i problemi del finale di The Book of Boba Fett sono più o meno tutti qui. Perché per il resto del tempo Robert Rodriguez regala un’ora di divertimento esagerato. Forse poco affine rispetto al misticismo contenuto di George Lucas, ma è pur sempre una bellissima notizia percepire finalmente entusiasmo ed energia dietro la macchina da presa. Anche quando ad essere diretto era Temuera Morrison e non un Luke Skywalker in CGI. Ci credono loro che raccontano la storia, ci crediamo anche noi.
Queste produzioni Disney+, sia nel mondo Marvel che in quello di Guerre Stellari, peccano spesso di eccessiva ambizione nella durata totale, troppi episodi a fronte di una storia risicata. Non può essere un caso infatti che i momenti veramente appassionanti, se sommati, coprano la durata di un film di quasi tre ore. Mentre il resto è annacquato e impossibile da memorizzare come la peggior televisione di un tempo.
Fortunatamente qui si è persa l’assurda struttura a flashback. Non è chiaro a cosa sia servita. I fatti potevano essere esposti in ordine cronologico e ne avrebbero solo giovato. Questa volta tutto è più diretto, immediato, con un peso palpabile. Ci si emoziona con l’arrivo di un’astronave, si scoprono nuove armi devastanti, ispirate all'epoca dell'Impero, e si ridefiniscono continuamente i rapporti di forza.
Soprattutto nella lotta finale i guerrieri che entrano nell’azione, sia dalla parte del cacciatore di taglie che del sindacato Pyke, non hanno quel freno a mano tirato che li ha portati a scelte tattiche assurde e a lottare come se fossero dei novellini in passato.
Krrsantan ha lo spazio che merita, Boba Fett è sì un guerriero stanco, ma non sembra un vecchio! Din Djarin è il giovane, bello, lucente, a partire dalla sua armatura, il migliore in campo. Fennec Shand fa quello che deve, strutturando piani, attacchi a sorpresa, insieme a i compagni della resistenza tutti puntuali e finalmente in parte.
Il tema dell’assedio, da sempre prerogativa del western, funziona qui nell’alternarsi con la prospettiva vastissima del deserto. I chilometri da percorrere sono parte del gioco. Le case possono nascondere sorprese gigantesche. Nei vicoli possono nascondersi rinforzi, e soprattutto la distanza tra un luogo e l’altro può fare la differenza tra la vita e la morte.
Se però nel quinto e nel sesto episodio si percepiva un cuore pulsante di Star Wars, nel settimo si perde un po’ della precedente raffinatezza per concedere spazio ad un action più tamarro tipico dello stile del regista. Una cattiva notizia? Niente affatto, perché per una serie in debito di personalità ogni inquadratura che rivela la mano che l’ha diretta è un toccasana. La serie si conferma quindi uno slow burn a cui dare fiducia (e pazienza) per venire ripagati.
Certamente si poteva fare meglio. Al netto di questi ultimi tre capitoli particolarmente ispirati, The Book of Boba Fett visto nella sua totalità conferma i timori verso la direzione presa dalla saga. Se infatti i singoli momenti funzionano, creano le tre “m”, magia, mito e meme, il suo insieme è lacunoso.
Ancora pare che gli autori vivano alla giornata cercando di raggiungere il massimo risultato nell’immediato, senza però avere idea di cosa accadrà tra cinque, sei anni (nostri, non narrativi). Invece che essere una bella conferma quindi la serie è stata la prova di quanto tutta la struttura stia scricchiolando. Non bastano più bravi registi, o maestranze d’eccellenza che creano effetti speciali all’avanguardia, oggi è più che mai necessario pianificare il disegno più grande guardando l'orizzonte.