The Book of Boba Fett 1x04, “Capitolo 4: La tempesta incombe” : la recensione

Il quarto capitolo di The Book of Boba Fett conferma tutte le mancanze dei precedenti e fa sprofondare ancora di più nel nulla narrativo

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The Book of Boba Fett 1x04, “Capitolo 4: La tempesta incombe” : la recensione

Alla fine di ogni episodio di The Book of Boba Fett i titoli di coda ci mostrano i concept art che hanno guidato al creazione delle scene. Lì si ha uno sguardo a quello che poteva essere e che non è. A differenza di The Mandalorian infatti, la serie spin-off trascura l’immaginario sottovalutando l’importanza dell’inquadratura giusta al momento giusto. Perde il gusto pittorico, la voglia di mischiare i colori, di dare risalto alla fantasia. Il deserto non è mai stato così piatto, sia come palette di colori che come forme geometriche. A Boba Fett non viene mai concessa una posa eroica (se non la vestizione dell’episodio due) o un’azione che ce lo faccia percepire come l’enigmatico e spietato cacciatore di taglie che è.

The Book of Boba Fett è così un’opera senile, dove non si corre ma si cammina veloce, e i corpi sono ingombranti macigni da portarsi dietro. Ancora e ancora nella vasca di bacta, arrivati al quarto episodio si sente la richiesta di aiuto di Jon Favreau (showrunner) e dei registi che si stanno succedendo anonimi. Hanno tra le mani un protagonista troppo vecchio. Privato di tutto non ci mostra la sua rinascita, quello l’ha già fatto più volte senza ritornare mai ad avere le caratteristiche che l’hanno reso noto. Si rivela nudo dell'armatura, ma non riesce a riproporre una nuova complessità psicologica. Il volto scoperto, i molti dialoghi raffazzonati, le scelte sbagliate in combattimento, lo alienano completamente dal passato. Come se nelle fauci del Sarlacc fosse restato l'assassino di allora e adesso ci fosse solo l'uomo.

Il problema è però che il “nuovo” Boba Fett non ha niente da dire. Si aggira tra le dune in un’estenuante riproposizione delle stesse immagini e degli stessi racconti. Abbiamo già visto 3 ore, eppure ancora l’intreccio è al minimo e gli attori continuano a stereotipare ogni carattere, alla disperata ricerca di profondità. Nel vuoto di eventi che si è venuto a creare, siamo in attesa di un qualcosa di grosso. Accadrà mai? per ora appare ancora molto lontano. Si sfrutta un ennesimo flashback, questa volta dedicato a Fennec Shand, per enunciare di nuovo propositi, fatti, ed eventi visti poco prima. Prendere il posto di Bib Fortuna, fondare la propria casata, ottenere la pace… Boba Fett lo ribadisce allo stremo. E poi cosa succederà? Quale sarà lo step successivo una volta consolidato il potere di daimyo? Il pensionamento?

Perché i personaggi che vediamo hanno un passato ingombrante, ma non hanno nulla da risolversi. Non vogliono cambiare, e non è ben chiaro se ci sia nemmeno margine per farlo. Si limitano quindi a crearsi piccole missioni, girate senza alcuna passione e chiuse alla svelta. Persino le molte creature che popolano le scene sono "povere". Fraintendono quello che si chiede da un prodotto che porta il marchio di Star Wars. Sono ben note infatti le polemiche rispetto all’abuso del digitale nella trilogia prequel. Erano anni in cui la tecnologia presentava vistose imperfezioni e che era tutta da esplorare. L’innamoramento dei fan, per così dire, agli animatronic o agli oggetti di scena animati sul set non deriva però da una nostalgia vintage, ma da una ricerca di realismo. 

Fa cadere le braccia quindi vedere un Bantha che mastica a scatti come se la mandibola non fosse ben oliata. Krrsantan è messo sul set con le luci piatte, senza mai valorizzare le sue dimensioni in contrasto ai nemici più bassi o il suo pelo scuro sfumato. Uno spettacolo di marionette riproposte una dopo l’altra in un carosello senza alcun gusto. Come spuntare un elenco della spesa.

Ancora una volta nelle sequenze iniziali si vede il meglio di The Book of Boba Fett. Il silenzio prende il sopravvento sui piatti dialoghi televisivi. Il movimento diventa ciò che permette di approdare a nuove avventure. In questo caso l’atmosfera è puramente cyberpunk, con la ricostruzione del corpo di Fennec. Sebbene la musica composta da Ludwig Göransson e Joseph Shirley per quel momento sia quanto di più distante da Star Wars, il risultato finale è ottimo. L’incrocio tra carne e metallo, il fumo delle cantine malavitose, riportano in un angolo della galassia dove nessuno vorrebbe andare spontaneamente, da cui è però impossibile staccarsi come spettatori. 

Peccato che tutto questo duri pochissimo. La coppia di antieroi cerca di recuperare l'astronave dal nome controverso. Sanno che dovranno combattere un numero pazzesco di guardie, correre in lungo e in largo per molte centinaia di metri fino a fuggire con il mezzo. Lo apprendiamo da un ologramma mostrato prima della missione, con tutti i dettagli: posizione dei nemici, lunghezza del corridoio, entrate, uscite. Salvo poi rivelarsi inutile dato che, ancora una volta, tutto sarà sbrigato in quattro e quattr’otto. 

Non si tratta, per fortuna, di un episodio orribile. Semplicemente arrivati a questo punto invece che aumentare la velocità (già molto bassa) l’acceleratore è proprio lasciato andare. C’era troppo poco nel pilot per poter vivere di rendita, e quindi si ha la sensazione di un'idea buona lasciata andare senza cura. 

Din Djarin di The Mandalorian era molto più un “Boba Fett” di quanto lo sia concretamente questo personaggio nella serie che porta il suo nome. Ci sono cose che non è bene fare “in questi tempi più civili”, si dice ad un certo punto. Sarebbe invece auspicabile ritornare un po’ a quel sottobosco criminale. Quella spietatezza che può essere vinta solo con furbizia e pelo sullo stomaco. Dove per uscirne vivi occorre essere più criminali dei malviventi. Invece The Book of Boba Fett sembra avere paura di tutto: di svelare che l’ex cacciatore di taglie non agisce come fanno tutti, che magari è anche spietato, crudele… cattivo. Anche per fare il bene! E soprattutto ha paura di quello Star Wars da cui prende le mosse, ma che non riesce mai a onorare veramente.

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