The Book of Boba Fett 1x03, “Capitolo 3: Le strade di Mos Espa”: la recensione
Il capitolo 3 di The Book of Boba Fett "Le strade di Mos Espa” è un passo indietro rispetto al secondo e fatica a far progredire gli eventi
Alla fine si è capito cosa deve fare The Book of Boba Fett per brillare veramente: deve uscire dagli spazi chiusi e angusti. Lì infatti, oltre all’assenza dell’oppressione che il buio delle scenografie dovrebbe dare, c’è sempre un contraccolpo indietro rispetto alla capacità di suggestione per immagini. Negli interni tutto diventa plastico, finto, "televisivo". Tra le quattro mura si parla troppo, con dialoghi mediamente dimenticabili, se non proprio orribili (la battuta sull’occhio verso fine puntata). Sembra di vedere e rivedere continuamente le stesse inquadrature, solo con un contesto leggermente diverso. Alla serie è però necessario un rapido cambiamento, che crei nuove situazioni per il Daimyo dal cuore (troppo) buono. Magari affiancandogli un compagno vero, qualcuno che possa sorregge il peso di molti episodi con lui, come succedeva con Grogu in The Mandalorian.
Il precedente Le tribù di Tatooine perlomeno girava tutto intorno alle "nuove" origini del "vecchio" Boba Fett, sopravvissuto a morte certa. Compensava con grandi emozioni e momenti lirici una grave mancanza di progresso nella trama. Grazie a immagini come quella della vestizione si poteva perdonare una sostanziale staticità e un Temuera Morrison sempre in affanno. Ora invece le ferite della serie sono scoperte. Limitando i viaggi onirici nel passato ci si ritrova nel nulla del presente narrativo. Stesse situazioni, stesse pose e minacce che ritornano all’infinito senza che lo status quo cambi mai in maniera significativa. I piccoli misteri gettati qua e là sono poco interessanti, molto meglio vedere Boba Fett cercare di mantenere gli equilibri tra famiglie.
Non capendo il progetto di Boba Fett, le intenzioni con cui vuole gestire la polveriera che ha sotto mano e le spinte interiori che lo motivano, si fatica anche a vivere con tensione gli eventi. Qui si arriva al cuore dei problemi: la struttura dell’esposizione.
Continuare a saltare avanti e indietro nel tempo può avere senso quando il presente e il passato si intrecciano svelando nuovi punti di vista dell’uno e dell’altro. Per ora invece i due piani temporali scorrono distinti come due stagioni di una stessa serie. Si resta così in attesa di qualcosa di grosso che deve succedere, ma che non accenna ad arrivare.
Black Krrsantan è una gradita comparsa, purtroppo sbrigata in fretta e furia. Perché non rinunciare a qualche inquadratura della vasca di bacta e allungare i combattimenti? Ancora una volta, ovviamente, The Book of Boba Fett si salva sotto il profilo produttivo. Quando ci è dato modo di esplorare le città e incontrare nuovi personaggi ritorna tutta la bellezza del complesso universo ideato da George Lucas.
Si può così soprassedere anche su quattro bike annoverabili tra gli oggetti dal design più brutto mai visto in Star Wars, purché si possa uscire dai palazzi di potere e ritornare nelle strade. Il proposito che si è dato questa puntata, ma che non è stato realizzato concretamente.
È ottima quindi la ricerca della causa dell’aumento del prezzo dell’acqua, la lotta contro l’ambiente ostile, il continuo guardarsi le spalle. Funziona la divisione del territorio tra centri di potere, così come il conflitto di interessi tra cariche di controllo della politica locale. Servirebbero però “missioni” più armonizzate tra loro e un maggiore senso di urgenza. L’insediamento del cacciatore di taglie doveva innescare un effetto domino, invece lo vediamo isolato, mentre attende che l’azione vada da lui. Star Wars non è mai stato così.