The Book of Boba Fett, 1x02 "Capitolo 2: Le Tribù di Tatooine": la recensione

Tra treni in corsa, allenamenti e nuove sottotrame il secondo episodio di The Book of Boba Fett accelera e diverte molto più del pilot

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The Book of Boba Fett, 1x02 "Capitolo 2: Le Tribù di Tatooine": la recensione

La difficoltà di gestire un impero criminale è che si hanno nemici ovunque e ben poche soddisfazioni. La scelta della violenza nel mondo di Star Wars, e ora anche in quello di The Book of Boba Fett, non garantisce una vita di scappatoie facili; non permette certo di evitare i pericoli riservati solamente ai “buoni”, anzi è un continuo guardarsi le spalle. Come si dice in questo secondo episodio della serie, la chiave è la gestione della famiglia, quindi capire le intenzioni di tutte le persone che ruotano intorno al potere fingendo fedeltà e proponendo alleanze. È questo il vero punto distintivo tra il successo e il fallimento del Daimyo: sapere amministrare le proprie risorse e creare una rete di affiliati.

Boba Fett succede a Bib Fortuna con tutte le difficoltà del caso. Dopo la prima ora introduttiva di settimana scorsa che ne ha rivelato le sue continue rinascite (e per certi versi le sue nuove origini), ora è possibile anche empatizzare con lui. Dietro la maschera dura e infrangibile si percepiscono le prime incertezze, una carnalità che riemerge dietro alla dura corazza, permettendoci un accesso ai suoi pensieri.

C'è un'infanzia perduta e agognata nel ricordo che speriamo possa diventare sempre di più presente. The Book of Boba Fett continua infatti a saltare su più piani temporali, interessandosi meno al presente e molto di più al passato prossimo e a quello remoto. Più si torna indietro nel tempo e meno contano le parole, solo i fatti e le azioni. Si ricordano i gesti, non le promesse.

È un personaggio tutto da ricostruire, da rimodellare non solo per ciò che richiede la serie, ma anche per trovargli un nuovo ruolo nella mitologia più ampia. Favreau e compagnia non si discostano qui dall’impostazione (in contro tendenza rispetto alla serialità attuale) data a The Mandalorian: episodi con un nucleo centrale autoconclusivo, che man mano portano avanti piccole sottotrame che andranno a sfociare più in là. Prendere o lasciare. Sebbene infatti questa organizzazione del corpus di avventure abbia un sapore quasi vintage, è anche quello che più ha contraddistinto questa nuova fase televisiva del mondo di Guerre Stellari in live action. Permette infatti un maggiore controllo e quindi un'organizzazione più "quadrata" e ordinata.

Che salto di qualità però in questo episodio di The Book of Boba Fett! Finalmente il protagonista si modifica non da solo, in funzione delle sue forze individuali che ben conosciamo, ma in rapporto alle difficoltà e negli incontri con altri personaggi. Tra treni in corsa, allenamenti e vestizioni, questo secondo capitolo è sorprendentemente emozionante e soprattutto lo fa senza retorica e senza parole, ma solo con la creatività di scenografie e costumi.

Che potenza l’arrivo dei “gemelli”, con una costruzione epica dell’inquadratura e dell’attesa. I colori opachi, le luci assorbite dall’armatura di Boba Fett sono elementi di scena che costituiscono la prima e più importante ragione di visione. Si dà spazio al mondo nascosto dal poco tempo a disposizione nei film. Si amano visceralmente le usanze e le strutture delle società che regolano la vita in territori in cui la morte è all’ordine del giorno. Sono i dettagli che hanno sempre costituito il principale fascino della galassia lontana lontana. E anche qui un oggetto può raccontare una storia intera, o un grande cambiamento interiore. 

Si entra più che mai nel territorio di Dune, da cui Star Wars ha sempre attinto a piene mani. Ritorna la spezia, finalmente centrale anche qui e il deserto. Le tribù Tusken non sono più solo carne da macello bensì commoventi esempi di resistenza alla scarsità di un pianeta ostile (come i Fremen). Con un treno da svaligiare, proprio come in The Mandalorian, pulsa nelle scene centrali l’animo di un western classico ben fatto.

Nell’adattamento dell’opera di Frank Herbert, ad opera di Denis Villeneuve, il deserto era ripreso come una forza segreta, capace di sbucare all’improvviso dalla sabbia. Uno spazio in cui perdersi e scoprire se stessi prima di ritrovare altra vita che, prepotente, resiste tra le sue pieghe. In The Book of Boba Fett invece l’occhio che riprende le dune è proprio quello di George Lucas. Non è quello che c’è sotto i piedi che conta, ma quello che è lontano e si sta avvicinando non visibile ad occhio nudo.

Si torna a comporre le inquadrature in profondità, il treno come un verme delle sabbie trasporta viventi che donano una morte rapida a chi si presenta di fronte al loro cammino. Bisogna allenarsi per domare la grande macchina, ma soprattutto è necessario diventare degni della fiducia dei popoli che abitano le poche zone d’ombra concesse. Non lo si fa con la forza del metallo, ma con la debolezza della pelle cotta al sole.

The Book of Boba Fett procede poco con il grande disegno narrativo. Ancora una volta si fatica a capire dove potrebbe portarci il viaggio della serie (e per quanto a lungo potrebbe durare). Però, questa volta, quello che ci è offerto è un puro godimento esplorativo. La bellezza di fare un passo indietro rispetto alle aspettative e lasciarsi sorprendere dall’infinità di sfumature che può regalare un oggetto fabbricato con materiali di recupero e una danza iniziatica attorno al fuoco. 

Potete rimanere aggiornati sulla serie con i contenuti pubblicati nella nostra scheda.
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