The Blacklist: Redemption 1x07, "Whitehall" - la recensione

La nostra recensione di Whitehall, settimo episodio della prima stagione di The Blacklist: Redemption.

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Spoiler Alert
Ormai sappiamo cosa aspettarci da The Blacklist: Redemption: non storie particolarmente originali, né chissà quale approfondimento psicologico dei personaggi, ma nei momenti migliori una successione di colpi di scena, qualche dialogo divertente e tante botte; in quelli peggiori è prevedibilità e meccanismi narrativi un po’ inceppati.
Whitehall è un episodio che fin dal titolo promette di fare chiarezza sul principale mistero della stagione: cos’è Whitehall, e chi lo controlla? E soprattutto, chi sta dicendo la verità tra mamma e papà Hargrave? E perché Tom è ferito e insanguinato nella prima scena?
Saltiamo a tre ore prima, e ritroviamo finalmente Liz, che immaginiamo aver passato sette puntate divisa da sola tra lavoro e figlia piccola mentre Tom è sparito in missione. Tom le chiede aiuto per liberare Howard, attraverso un controllo dell’FBI che possa verificare che si trova ricoverato contro la sua volontà, e dunque illegalmente.
Intanto alla Halcyon scatta la caccia all’uomo nei confronti di Tom, tra chi già sa che è figlio di Scottie e chi ne è ancora all’oscuro. In ogni caso nessuno sembra dedicare più di due secondi di stupore alla rivelazione, Scottie compresa, nonostante per tutta la stagione abbia manifestato sconforto per la perdita ventennale del figlio ora ritrovato. Proprio lei non esita a tentare di estorcere informazioni con le maniere forti a Tom, senza minimamente considerare la sua posizione poco felice tra i due fuochi dei genitori ritrovati, ma in guerra tra loro.
Visto il coinvolgimento personale degli “avversari”, in questo caso salta ancora più all’occhio il problema della serie: la posta in gioco tra i due coniugi e Tom non sembra mai così alta da giustificare azioni così subdole da parte di Scottie, e reazioni così eclatanti da parte di Howard, probabilmente perché niente è stato adeguatamente costruito a livello narrativo. Per molte puntate abbiamo dovuto fidarci di un enorme pericolo incombente, trincerato dietro codici e depistaggi che tuttavia sono sempre facilmente bypassabili da Howard e Tom. Ora a giustificare torture e ordini di omicidio sono solo ipotetiche minacce di cui, fino a questa puntata, non si sa nulla.
Ma intanto la puntata è un modo per estremizzare i problemi famigliari dei Hargrave a suon di botte: la scena di punta in tal senso è lo scontro diretto tra Tom, fuggito in modo rocambolesco dalla stanza delle torture, non prima di aver neutralizzato Solomon (nonostante fosse legato e percosso), e Scottie, che lo insegue e lo affronta, armata. I due se le danno di santa ragione, con tanto di proiettili volanti e accuse rinfacciate reciprocamente, prima che Tom riesca a scappare.
Anche il piano dell’FBI ha funzionato, così Howard e Tom possono ricongiungersi e passare un po’ di tempo in attività padre-figlio costruendo un’antenna parabolica artigianale, in modo da hackerare la potentissima rete Artax che protegge i dati di Halcyon. Seguendo una pista i due riescono a penetrare in una struttura segreta, dove scoprono che Whitehall non è un “cosa” ma un “chi”: il nome, anzi il cognome, di un genio della matematica tenuto segregato a lavorare a una ricerca segretissima su un fantomatico computer quantico. La sorpresa migliore dell’episodio è che Whitehall è interpretato da Clarke Peters, veterano della serialità e volto noto di serie cult come The Wire e Treme, anche se non sappiamo se e per quanto lo rivedremo. Liberato dai nostri, l’uomo viene infatti subito riacciuffato da alcune guardie, così attente e furbe che non si curano di prendere anche il suo zaino contenente i preziosi frutti della ricerca, che rimangono così in mano a Howard. Ulteriori inseguimenti e colluttazioni portano al definirsi di due schieramenti, da un lato Tom, Howard (e l’FBI, nella persona di Liz), a cui si aggiunge Nez, che tradisce Matias; dall’altro Scottie, Solomon e il resto di Halcyon. Tra tutti questi eventi le schermaglie tra Kat, Scottie e il toy boy Trevor lasciano il tempo che trovano, se non fosse che lo scambio di telefoni tra lui e l’assistente di Scottie appare tutt’altro che incidentale, ed è incredibile che nessuna delle due se ne accorga.
Alla fine dunque la resa dei conti è più banale di quanto potevamo aspettarci: le ambiguità si sono appianate, c’è un buono e una cattiva, o almeno questo è ciò che la puntata vuole farci credere. Se ci fidiamo delle apparenze dobbiamo credere che Scottie sa davvero una glaciale criminale che ha tenuto un uomo prigioniero (anche se in una prigione quasi comoda) a lavorare giorno e notte al prototipo di una nuova concezione del computer, che permetterebbe di penetrare ogni comunicazione. E dobbiamo credere che Howard abbia finto la sua morte in buona fede, così come prendere per buona la sua genialità assoluta; ma c’è sempre un’ultima puntata, in cui lo scontro diretto tra marito e moglie potrebbe nuovamente ribaltare tutto.
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