The Blacklist: Redemption 1x04, "Operation Davenport": la recensione

La nostra recensione di Operation Davenport, quarto episodio della prima stagione di The Blacklist: Redemption

Condividi
Nonostante il caso presentato in Operation Davenport, quarto episodio della prima stagione di The Blacklist: Redemption, sia particolarmetne complicato, la puntata risulta più convenzionale della precedente. Ci sono di mezzo terroristi e cyber-attivisti, l’NSA, l’ambiguità dei metodi di controllo degli Stati Uniti, un’azienda di sorveglianza che per tornaconto personale non si fa scrupolo di incastrare un hacker e mettere su un depistaggio.

Quello che sembra un incidente (ma che incidente non è) provoca l’evasione di cinque prigionieri da una base segreta usata dalla CIA per interrogare i “combattenti nemici”, cioè i presunti terroristi. I cinque fuggitivi sono un terrorista che ha bombardato un’ambasciata francese in Algeria, un “hacktivista” che ha leakato informazioni top secret dell’Intelligence, un suprematista bianco, un separatista ceceno, un cittadino inglese che ha partecipato a un attentato in Pakistan.

Per operare in segretezza e recuperare gli evasi viene convocata Halcyon, perché nessuno, nemmeno le forze di polizia cittadine, deve sapere della fuga e della prigione, dato il pericolo isteria di massa. Alcuni fuggitivi vengono trovati quasi subito da Tom e Solomon, mentre la ricerca degli altri fa emergere che le cose sono molto più ambigue di come vengono raccontate. È vero che l’evasione è stata orchestrata dall’interno, per la precisione dall’hacker Brian Mayhew, ma il motivo è scagionarsi e dimostrare che è stato imprigionato ingiustamente. Questo però inostri lo scoprono solo dopo aver seguito il piano e aver scoperto l’esistenza della misteriosa (e reale) “cerimonia delle chiavi” in cui alcuni soggetti responsabili letteralmente delle chiavi della sicureza di internet si riuniscono periodicamente. Lì sta anche il backup dei controlli dell’NSA, all’interno del quale si trova la prova che Brian è stato incastrato… Tra gli abusi di potere di agenzie di sicurezza e i metodi degli hacker militanti i nostri della Halcyon (e gli autori della serie) non hanno dubbi da che parte stare, e l’Intelligence, che apparentemente non si era accorta di niente, non ci fa una grande figura.

Intanto le indagini di Scottie sulla ricerca di suo figlio continuano: dopo aver scoperto che Christopher è stato portato ai Servizi Sociali poco dopo la sua scomparsa, Scottie viene in possesso di un certificato di adozione da parte dei coniugi Phelps, e decide di andarli a trovare. L’eccitazione e la gioia con cui accoglie la notizia non possono che essere prematuri: il bambino che i Phelps le mostrano in foto non è il suo Christopher, e Scottie se ne torna a casa sconsolata. Si inserisce qui anche il personaggio di Trevor, escort maschio dei cui servigi Scottie si è legittimamente servita nella scorsa puntata, a cui gli autori sembrano voler dare un ruolo più ricorrente. Ora in veste di pseudo-psicologo e dispensatore di abbracci e consolazione, oltre che toy boy, ci auguriamo che l’incipiente interessamento reciproco tra lui e Kat, la segretaria di Scottie, non diventi uno scontro di gelosie tra donne, che non porterebbe a niente di buono per la serie. Che sia invece un altro doppiogiochista in cerca di informazioni?

Il dettaglio di contorno più godibile, anche se fine a se stesso, è forse la scenetta sul razzismo con cui Tom e Salomon si liberano dei poliziotti chiamati dall’inquilino dell’appartamento, ora legato, in cui si sono rifugiati i fuggitivi. Tom finge di aver creduto di essere davanti a un aggressore sulla base di pregiudizi razziali, mentre Solomon si finge l’idraulico indignato.

Sul finale anche Tom, che riesce sempre ad origliare al momento giusto le mosse di Scottie sulla sua ricerca, ottiene alcune risposte, dopo che per molte volte Howard è sembrato sordo alle sue preoccupazioni. Il detective assunto da Scottie sta in realtà continuando a lavorare per Howard, così ovviamente i genitori adottivi che la donna ha incontrato sono falsi. Intanto Howard continua a citare Whitehall, che spiega essere una misteriosa voce di bilancio di Halcyon, un deposito in una zona sperduta del Sudafrica, il cui scopo andrà scoperto da Tom una volta che avrà guadagnato la totale fiducia di Scottie. Quello che né Howard né Tom sanno è che Scottie ha già messo Solomon sulle tracce di Tom dopo aver notato il suo strano comportamento: una reazione ampiamente prevedibile vista la personalità di Scottie. Ancora nessun approfondimento invece sulle incredibili accuse di scambio di persona mosse da Howard, probabilmente una delle questioni che si trascineranno fino a fine stagione.

Continua a leggere su BadTaste