The Blacklist: Redemption 1x02, "Kevin Jensen": la recensione

La nostra recensione del secondo episodio della prima stagione di The Blacklist: Redemption, intitolato Kevin Jensen

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Spoiler Alert
Kevin Jensen, il titolo della seconda puntata di The Blacklist: Redemption, non è un pericoloso criminale internazionale ma una persona molto cara a Scottie.

Kevin è infatti il fglio della sua migliore amica, e Scottie ha chiaramente trasferito su di lui i sentimenti materni svuotati dalla perdita di suo figlio (cioè Tom, ma lei non lo sa), di cui Kevin è coetaneo e di cui era, da bambino, amico. Ora Kevin è un giornalista che si occupa di diritti civili in Kyrkistan, stato-nazione al confine orientale della Turchia, ed è stato rapito e torturato con l’accusa di essere un agente della CIA. Scottie sa che non è così, e, chiamata dall’amica e madre di Kevin, decide di intervenire, disposta a passare sopra prima al disinteresse di comodo del governo degli Stati Uniti, e, dopo, all’esplicito divieto di agire intimato dal gabinetto presidenziale.  Anche se si tratta di un oltrepassamento nell’illegalità molto più grave di altre volte, naturalmente la squadra “Gray Matters” segue la sua leader e si attrezza per andare a recuperarlo.

L’episodio ha l’ambizione di riferirsi alle continue violazioni dei diritti civili e alle azioni di repressione nei confronti di attivisti, intellettuali, giornalisti in Turchia, anche se, incentrandosi sul salvataggio di un giornalista statunitense da parte di coraggiose spie statunitensi, rientra perfettamente nello schema dell’”eversione patriottica” che caratterizza, dopo The Blacklist, anche Redemption.

Decisamente più drammatico dell’episodio precedente

Decisamente più drammatico dell’episodio precedente, anche in questo caso la prima parte è dedicata alla preparazione del piano, con alcuni intoppi casuali, in certi casi più credibili che in altri: il trucco di specchi per nascondere il carico di armi, ad esempio, viene tradito dalla condensa che si forma sugli specchi quando il portellone viene aperto dai soldati, perché fuori è più freddo che all’interno, un modo interessante di far fallire l’inganno.

Imossibilitati ad entrare armati nella prigione in cui è rinchiuso Kevin, Tom ha un’idea che viene realizzata con l’aiuto di Volkan, un anziano amico di Scottie, che fortuitamente ha a sua volta “conoscenze all’interno della polizia” non meglio specificate, ma che possono smuovere le cose e prestare ai nostri uniformi e armi. Sorvolando sulla dimenticabile parentesi che dovrebbe essere comica della figlia di Volkan con velleità da pop star, viene pilotato un mandato di perquisizione per la prigione, così Tom, Matias e Nez riescono a infiltrarsi direttamente dalla porta principale, travestendosi da poliziotti e mimetizzandosi tra gli altri. Ma una volta dentro si spostano in autonomia nell’ala est del carcere, e dopo aver fatto saltare in aria la serratura della cella di Kevin vengono notati e inseguiti. L’alternanza tra la “sala di controllo” della Halcyon e il lavoro sul campo, tra Scottie e Dumont che lavorano via tecnologie e Tom, Nez e Matias che passano da un conflitto a fuoco all’altro è stavolta particolarmente drammatica, aggravata dal fatto che una volta tratto in salvo Kevin, lui stesso si mette di nuovo in pericolo per recuperare il suo portatile con preziose notizie e informazioni. Non è molto credibile che un uomo debilitato dalle torture sia in grado di correre e agire con l’agilità di Kevin, e il finale spiega solo in parte queste abilità, tanto più che per tutta la puntata sono gli altri a sparare per proteggerlo. Il governo USA continua a guardare con le mani in mano, ma Scottie alla fine li convince a dare il permesso all’ambasciata per aprire le porte ai fuggitivi e farli rientrare a casa; la risoluzione si rivela inutile e tardiva, perché nel drammatico finale Kevin non sopravvive.
Solo alla fine si scopre, un po’ prevedibilmente, che Kevin era effettivamente un agente sotto copertura, e che le informazioni recuperate sono di grande valore per gli Stati Uniti: peccato che questa informazione debba rimanere segreta persino per la madre, per non inasprire i rapporti con il presidente del Kyrkistan, e che Kevin dunque non possa essere ricordato come eroe americano.  Evidente la critica al modo di svoglere le operazioni di intelligence delle istituzioni, ma d’altra parte Halcyon ha agito in questo caso solo perché si trattava di una questione personale per Scottie, dunque sempre di un gioco di interessi reciproci.

Le questioni famigliari tra Tom e Scottie rimangono stavolta in disparte ma si rispecchiano nel rapporto tra lei e Kevin, e nella constatazione finale che è terribile per una madre non sapere niente del proprio figlio: per quanto ancora Tom manterrà il segreto?

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